Se negli anni del liceo un indovino mi avesse detto "Fra venticinque anni intervisterai, per il tuo blog, la tua compagna di classe Paola Zuccolotto", la mia reazione sarebbe stata un misto di incredulità e incapacità di comprendere. Già, perché negli anni Ottanta del secolo scorso nessuno poteva prevedere quale sarebbe stato, molti anni dopo, il significato della parola "blog"; e inoltre allora mi sarebbe risultato particolarmente ostico vedermi come futuro "intervistatore", per giunta di una mia ex compagna di classe. Per quale strano motivo?
Eppure, come scrisse George Byron, "È strano, ma vero; perché la verità è sempre strana, più strana dell'immaginazione". Ed eccomi qui a intervistare la mia ex compagna di classe, che, bravissima anche ai tempi del liceo, negli anni successivi è stata protagonista di una brillantissima carriera universitaria ed è attualmente Professore Associato all'Università di Brescia.
Dopo i Rudi Mathematici, famosi divulgatori matematici, ho pensato di intervistare lei, in quanto docente e ricercatrice nell'ambito della matematica (anzi, della statistica per essere precisi) e anche molto sensibile alle tematiche della comunicazione della scienza.
La ringrazio per avere accettato di regalare il suo prezioso tempo per un'occasione così giocosa come il mio blog (il post è corredato di una serie di immagini tratte da lavori di Paola, oltre che di alcune sue foto).
Paola, qual è stato finora il tuo percorso accademico e quali sono i tuoi principali argomenti di ricerca?
Prima
di parlare di me, desidero fare i complimenti a Mr. Palomar per come
riesce a essere sempre interessante, rigoroso e divertente al tempo
stesso, un trinomio così difficile da realizzare… e ovviamente
ringraziarti di aver pensato a me per questa intervista.
Il mio
percorso accademico è stato piuttosto lineare: ho conseguito il
Dottorato di Ricerca in Statistica Metodologica nel 1999, poco dopo ho
vinto un concorso come Ricercatore di Statistica presso l’Università di
Brescia e dal 2005 sono Professore Associato.
Mi occupo di tecniche statistiche per dati multivariati, vale a dire analisi di dataset in cui sono presenti molte (talvolta moltissime, come accade con i cosiddetti big data) variabili, alla ricerca di relazioni, associazioni, legami strutturali di vario tipo. Le finalità di queste analisi sono svariate; principalmente l’obiettivo è di comprendere meglio il funzionamento dei fenomeni studiati e/o di effettuare previsioni. Anche gli ambiti di applicazione possono essere i più diversi: economia, finanza, marketing, sport, medicina, genetica...
Dal punto di vista della statistica, le tecniche sono molteplici: si va da quelle più classiche, diciamo “tradizionali”, a metodi nuovi e più sofisticati, chiamati “algoritmici”, che hanno visto uno sviluppo rapidissimo nell’ultimo decennio grazie alla crescente capacità degli elaboratori elettronici. Tra le tecniche algoritmiche, a cui spesso ci si riferisce con il termine generico di machine learning, troviamo metodologie innovative dai nomi attraenti come le reti neurali artificiali, le cosiddette Random Forest… e l’elenco si allunga ogni giorno. Insomma, usando un termine tecnico, si può dire che sono un data miner, letteralmente un minatore che scava tra i dati alla ricerca della preziosa informazione che essi contengono.
Se da una parte la matematica in senso lato, almeno in Italia, pare abbastanza snobbata dai mezzi di comunicazione, forse perché ritenuta poco accattivante per il grande pubblico, la statistica mi sembra invece molto presente nell’informazione quotidiana: penso ai sondaggi politici, alle tabelle e ai grafici finanziari sui giornali, e così via. L’economista americano Hal Varian ha affermato che quella dello statistico sarà la professione più “sexy” dei prossimi anni. Come si spiega tutto questo?
Quando qualcuno, incuriosito dai miei studi, mi chiede cosa sia la statistica, spesso taglio corto dicendo che è una cugina della matematica, giusto per far capire che si tratta di numeri, calcoli e formule (a quel punto la risposta di solito è “Ah”, e si cambia discorso). Senza pretendere di definire l’albero genealogico di queste due discipline, questione che sicuramente risulterebbe molto più controversa di quanto esiga la banalità della diatriba, credo che, dal punto di vista dell’attrazione esercitata sul pubblico, il grande vantaggio della statistica sulla matematica sia che la prima tiene sempre un piede nella teoria e un altro nell’applicazione delle tecniche alla realtà. La parte di studio teorico differisce poco o nulla dalla ricerca di tipo matematico: gli strumenti sono gli stessi.
La differenza è che in statistica sono quasi assenti studi puramente astratti e l’orientamento più frequente è a proporre metodi e dimostrare proprietà che abbiano un risvolto pratico, cioè che aiutino a comprendere meglio un fenomeno, a migliorare le previsioni, e così via. La quasi totalità degli articoli scientifici di statistica contiene una sezione in cui le metodologie presentate da un punto di vista teorico sono poi applicate a dati reali, per mostrare su un caso pratico il valore aggiunto del metodo proposto. Penso sia questo che ha procurato alla statistica maggiore popolarità rispetto alla matematica, e sicuramente le analisi statistiche possono essere di grande aiuto in tutti i settori i cui vengono applicate, perché uniscono il rigore della matematica alla fruibilità dell’orientamento alla pratica.
Per questo Hal Varian ha definito lo statistico il mestiere sexy dei prossimi anni. Una massima spesso citata in azienda è “you can’t manage what you don’t measure”, e l’era digitale in cui viviamo mette a disposizione quantità di dati sempre crescenti con cui misurare, valutare, creare strumenti decisionali. Ecco perché le aziende dovrebbero, secondo Hal Varian, dotarsi di persone con questo tipo di competenze, cioè statistici, ma non solo. In realtà credo che avesse in mente di usare questo termine nella sua accezione più ampia di data scientist, una figura professionale che unisce statistica, informatica, conoscenza delle problematiche manageriali.
D'altra parte, questa popolarità della statistica nasconde anche qualche rischio. Infatti, complice la crescente disponibilità di software statistici user friendly, si sta diffondendo la tendenza a scavalcare la fase della teoria, difficile e noiosa, per approdare direttamente all’applicazione. E così molti si improvvisano statistici senza aver affrontato la base matematica che sottende, con un rigore troppo spesso dimenticato (o addirittura mai conosciuto), tutte le tecniche statistiche, dalla prima all’ultima. In questo modo si generano mostri e il rischio di commettere errori gravi è altissimo. É come se si volesse scrivere un romanzo in cinese senza averlo mai studiato, avvalendosi del traduttore di Google.
Addirittura si dice che alcuni dei crack finanziari che hanno tristemente condizionato l’economia mondiale di questi ultimi anni siano stati causati dall’applicazione sconsiderata di tecniche statistiche, senza dare adeguato peso alle ipotesi che, da un punto di vista matematico, ne sottendevano la validità.
Secondo te come è percepito oggi, dal mondo dei ricercatori e dei docenti universitari, il tema della comunicazione della scienza presso il grande pubblico?
Dare una risposta generale è quasi impossibile, perché il mondo dei ricercatori e dei docenti universitari è estremamente vario. Persino all’interno dello stesso settore scientifico, coesistono visioni, atteggiamenti e modi di pensare profondamente diversi. Mi limiterò pertanto a esprimere la mia opinione, senza la pretesa di rappresentare l’intero mondo accademico.
La mia impressione è che ci sia una certa distanza tra universitari e grande pubblico. In Italia il termine “accademico” è sinonimo di “inutilmente complicato”, “retorico”, addirittura “inconcludente”. Inoltre, per molti l’immagine di un professore universitario è quella di una persona piuttosto superba e altera. Insomma, unendo complicazione e alterigia, bisogna dire che fare una bella chiacchierata con un accademico non rientra nella classifica delle idee più allettanti per il grande pubblico.
Le ragioni di questo tipo di visione vanno ricercate da più parti. Da un lato, sicuramente una gran parte degli accademici non sente la necessità né la voglia di dedicarsi ad attività divulgative. Un po’ perché nel mondo accademico tutto quello che non si traduce in pubblicazione su qualche prestigiosa rivista internazionale vale praticamente zero, un po’ perché comunque non è facile tradurre argomenti difficili in parole semplici.
Non è assolutamente detto che un bravo ricercatore sia anche un bravo comunicatore. Anzi, se il grado di approfondimento con cui ci si dedica allo studio di una materia diviene molto elevato, si accumula una distanza dal pubblico che si può colmare solo se si possiede una grande capacità di comunicazione e una forte determinazione in questo senso. E queste sono doti indipendenti dalla capacità di ricerca scientifica. Ho parlato di distanza dal pubblico, ma ci credi che ai convegni scientifici a volte non ci capiamo nemmeno tra di noi?!?!
Non ho problemi ad ammettere che se ascolto la presentazione di un collega che lavora su argomenti, magari molto di nicchia, di cui non mi sono mai occupata, è difficile che riesca a seguirlo oltre i primi minuti… Io, per esempio, amo tradurre in parole semplici il mio lavoro anche in queste occasioni, proprio per consentire a tutti di seguire il mio discorso fino alla fine. Certo, questo significa rinunciare ai dettagli (a cui ogni buon ricercatore tiene tanto), e anche a dare di sé l’impressione di “uno che fa cose complicatissime”… ma si guadagna una platea attenta e partecipe.
Devo dire, però, che in questo atteggiamento rimango una mosca bianca… sembra una contraddizione, ma parlare in modo difficile è comunque la via più facile e sicura… Tornando alla divulgazione presso il grande pubblico, per la matematica c’è un’aggravante: è veramente arduo sfondare la barriera che molti, dopo averla subita per anni ai tempi della scuola, hanno sollevato di fronte a questa disciplina. Quando dico che svolgo attività di ricerca su una materia che ha molte affinità con la matematica leggo immediatamente quello sguardo misto di ammirazione e disgusto… Alla domanda “di cosa ti occupi?”, rispondere “astronomia” procura di certo più di successo che rispondere “matematica”… In pratica se un matematico ha voglia di appassionare qualcuno, prima deve convincerlo ad ascoltare, cosa che non capita in altri ambiti.
Questo di certo non deve essere una giustificazione per non elargire sforzi nella direzione della divulgazione ma, anzi, una ragione in più per farlo: demolire il mito della matematica vista come una materia difficile e arida. Per tutte queste ragioni è molto lodevole il lavoro di divulgazione che fate tu e alcuni altri.
Troppo buona, Paola. Qual è la tua opinione in merito alla scarsa attenzione che in Italia la politica e l’informazione dedicano alla ricerca scientifica e ai temi scientifici in genere?
Credo che, semplicemente, politica e informazione abbiano altri obiettivi: rispettivamente, la demagogia e il bisogno di fare notizia a tutti i costi. Non vorrei sembrare cinica, lo dico in realtà con molta amarezza. L’idea stessa di ricerca scientifica, così come viene comunicata dalla politica e dai media, è completamente distorta. Tanto per cominciare, si considera degna di attenzione solo quella ricerca che comporta vantaggi sociali/economici immediati, con buona pace della ricerca di base. In pratica, è come se si dicesse: “ragazzi, basta inventare nuove tecnologie, quelle che abbiamo sono più che sufficienti, ora dobbiamo dedicarci solo a utilizzarle al meglio”.
Certo, sfruttare l’esistente è fondamentale, anche per non vanificare gli sforzi passati, ma smettere di progredire è poco lungimirante e, in definitiva, assolutamente sbagliato in un’ottica di lungo periodo. Però è difficile far capire alle masse che dimostrare oggi un astratto teorema matematico potrebbe portare domani a scoprire un nuovo modo di sfruttare le energie alternative, e così finanziare chi dimostra teoremi non appare alla politica così prioritario, specialmente in periodi come quello che stiamo attraversando. Siccome il consenso del pubblico è la prima preoccupazione, la scienza può attendere. Per ora va anche tutto bene, ma il terreno che perdiamo in questo modo rispetto agli altri paesi europei e del mondo si noterà un domani. E non parliamo della feroce campagna di mistificazione, per lo più demagogica, con la quale in questi ultimi anni l’università italiana è stata dipinta come il regno dei baroni, dei favoritismi, dei corsi di laurea bizzarri quanto inutili. Non dico che queste tristi realtà non esistano, ma sono certamente molto più circoscritte di quanto sia stato propagandato.
La realtà è che l’università è fatta da tante persone con una grandissima passione per la ricerca. Ciononostante, che la ricerca scientifica italiana venga svolta per la maggior parte nell’ambito delle università (e con risultati eccellenti, a livello mondiale) non è poi così noto tra il pubblico. Insomma, voglio dire che, purtroppo, non si tratta solo di scarsa attenzione alla ricerca scientifica, molto più grave è l’immagine distorta con cui essa viene dipinta. I tagli ai finanziamenti, poi, arrivano (a volte addirittura applauditi) di conseguenza…
I mezzi di informazione, dal canto loro, pubblicano quello che la gente legge più volentieri e nell’epoca del Grande Fratello e della TV-spazzatura, anziché costruire un’alternativa, seguono l’onda. Mai fare di tutta l’erba un fascio, ovviamente, ci sono prestigiose eccezioni, ma la direzione di fondo è chiara. Le tematiche scientifiche, e quelle matematiche in particolare, sono spesso divulgate dai mezzi d’informazione in modo improprio, peccando di sensazionalismo, superficialità, imprecisione.
Come potrebbero collaborare Università e comunicatori scientifici (giornalisti, blogger, ecc.), per migliorare la situazione?
Un cambiamento di direzione si può avere solo diffondendo cultura. Parlo di cultura in senso generale, a tutti i livelli, non solo scientifica. Tutti, ma proprio tutti, dovrebbero impegnarsi in questa direzione, partendo dalla televisione che propone programmi che sono un oltraggio all’intelligenza umana, passando ai giornali, che molto spesso puntano diritti all’obiettivo di fare notizia, senza curarsi troppo di essere anche precisi. E non parliamo del modo in cui l’informazione circola, incontrollata, nei Social Network: quante volte abbiamo visto girare, condivise da migliaia di persone, bufale colossali? Bufale che si sarebbero potute smascherare con un click su Google. Fa parte di uno stile: la notizia è clamorosa, quindi voglio essere il primo a diffonderla, senza preoccuparmi di verificarne la veridicità.
È questo atteggiamento che la cultura può e deve cambiare, la cultura intesa come voglia di conoscere i particolari e di andare oltre le apparenze, amore per la precisione, disponibilità a mettere in discussione le proprie idee grazie alle conoscenze acquisite. L’apprezzamento per la scienza, poi verrà di conseguenza, ma è inutile pensare di seminarlo in un terreno dove non può attecchire. Della diffusione della cultura siamo responsabili tutti, a tutti i livelli, ognuno di noi si deve sentire inchiodato alla propria responsabilità nei confronti delle generazioni future.
lunedì 30 dicembre 2013
mercoledì 25 dicembre 2013
I premi Turing: Richard Hamming
Foto di Louis Fabian Bachrach, tratta da http://amturing.acm.org |
Il premio Turing del 1968 fu assegnato a un matematico americano, Richard Hamming. Il suo nome è legato a molti concetti fondamentali nell'ambito dell'informatica teorica e delle telecomunicazioni: tanto per fare alcuni esempi, il codice di Hamming, la finestra di Hamming, i numeri di Hamming, e soprattutto la distanza di Hamming.
Nato a Chicago nel 1915, Hamming conseguì il dottorato all'università dell'Illinois nel 1942. Diventò professore a Louisville negli anni della guerra, e partecipò al progetto Manhattan mettendo a disposizione la sua competenza nel campo della programmazione dei primi computer elettronici. Il suo lavoro mirava a risolvere al calcolatore alcune equazioni per capire se l'esplosione di una bomba atomica avrebbe incendiato l'atmosfera. Pare che i risultati ottenuti da Hamming, secondo i quali il fenomeno non si sarebbe verificato, siano stati determinanti per la prosecuzione del programma.
Dopo la fine del conflitto, Hamming collaborò con Claude Shannon, padre della teoria dell'informazione, ai Bell Laboratories, e fu professore al City College di New York, e poi al Naval Postgraduate School in California. Morì nel 1998.
Tra tutte le importanti scoperte di Hamming, mi limito a ricordare quella della "sua" distanza. Se abbiamo due sequenze di simboli, cioè, come diciamo noi informatici, due stringhe, a volte è utile stabilire una misura della loro "somiglianza". Per esempio, è evidente che la parola "gatto" è piuttosto simile alla parola "ratto", ma molto lontana dalla parola "lepre". Come possiamo fare, quindi, matematicamente, a stabilire la distanza tra due "parole" qualsiasi?
Nel 1950 Hamming fornì un semplice modo, applicabile se le due parole hanno la stessa lunghezza: basta contare le posizioni alle quali si trovano caratteri diversi nelle due rispettive parole. Nel caso di "gatto" e "ratto" abbiamo una sola posizione di questo tipo, la prima (alla quale troviamo "g" e "r" nelle due parole), mentre nel caso di "gatto" e "lepre" addirittura tutte le lettere sono diverse, cioè abbiamo una distanza uguale a 5.
Detta in altro modo, la distanza di Hamming è pari al numero di sostituzioni che dobbiamo operare per trasformare una stringa nell'altra.
Dato che nella teoria dell'informazione e nell'informatica rivestono particolare significato le stringhe binarie, cioè le sequenze di zeri e uni, la distanza di Hamming viene spesso applicata a questo tipo di "parole".
Per esempio, consideriamo le stringhe binarie di lunghezza 3. Quante ce ne sono? Naturalmente 2 elevato alla 3, ovvero 8. Non è difficile comprendere che queste 8 possibili combinazioni possono essere disposte ai vertici di un cubo, come illustrato nella figura a fianco. A questo punto, per calcolare la distanza tra due di queste stringhe, basta contare i lati che si devono percorrere per passare da un vertice all'altro.
Due esempi: tra la stringa 100 e la stringa 011 c'è una distanza di Hamming di 3 (percorso rosso), mentre per andare dalla stringa 010 alla stringa 111 la distanza è pari a 2 (percorso blu).
Analogamente, per misurare le distanza tra stringhe binarie di lunghezza n, ci serve uno spazio a n dimensioni. Poco importa se facciamo fatica a rappresentarlo graficamente: i matematici non si scompongono più di tanto di fronte a queste difficoltà.
In generale, la distanza di Hamming gode di alcune speciali proprietà. Prima di tutto, la distanza tra due stringhe non è mai negativa. Secondo, due stringhe identiche hanno distanza zero l'una dall'altra. Terzo, la distanza da a a b è uguale alla distanza da b ad a. Infine, se la distanza da a a b è pari a x, e la distanza da b a c è pari a y, allora la distanza da a a c è sicuramente minore di x+y. Quest'ultima proprietà viene chiamata disuguaglianza triangolare, perché, se ci fate caso, il lato di un triangolo è sempre meno lungo della somma degli altri due.
Tutte queste proprietà messe insieme rendono la distanza di Hamming un ottimo meccanismo per misurare la distanza tra due "parole": i matematici esprimono questo concetto dicendo che si tratta di una "metrica" nello spazio delle stringe di lunghezza n.
La distanza di Hamming è molto utilizzata in informatica, in teoria dell'informazione, nelle telecomunicazioni, nella teoria dei codici e nella crittografia (ed ecco che torna alla memoria il grande Turing).
I miei lettori si staranno chiedendo: va bene, ma se dobbiamo confrontare due stringhe di lunghezza diversa? Ottima domanda. A questo scopo la distanza di Hamming non va più bene, e dobbiamo usare quella di Levenshtein, proposta nel 1965 dal russo Vladimir Levenshtein. In questo caso la distanza è pari al numero minimo di modifiche elementari che consentono di trasformare una stringa nell'altra: solo che oltre alla trasformazione di un simbolo in un altro, è permesso anche inserire un nuovo simbolo o cancellare un simbolo.
(Se ci pensate, queste trasformazioni assomigliano molto a quelle della "Pagina della Sfinge" della Settimana Enigmistica: cambio di lettera, aggiunta di lettera, scarto di lettera.)
Concludo questo post con un paio di frasi molto sagge di Richard Hamming:(Se ci pensate, queste trasformazioni assomigliano molto a quelle della "Pagina della Sfinge" della Settimana Enigmistica: cambio di lettera, aggiunta di lettera, scarto di lettera.)
The purpose of computing is insight, not numbers.
(Lo scopo della computazione è la comprensione, non i numeri.)
We live in an age of exponential growth in knowledge, and it is increasingly futile to teach only polished theorems and proofs. We must abandon the guided tour through the art gallery of mathematics, and instead teach how to create the mathematics we need. In my opinion, there is no long-term practical alternative.
(Viviamo in un'epoca di crescita esponenziale della conoscenza, ed è sempre più inutile insegnare soltanto bei teoremi e dimostrazioni. Dobbiamo abbandonare l'idea della visita guidata nella galleria d'arte della matematica, e piuttosto insegnare come creare la matematica di cui abbiamo bisogno. A mio parere, non c'è alternativa pratica a lungo termine.)
martedì 24 dicembre 2013
L'albero binario di Natale
Piccolo ricordo degli anni universitari. Ultimo giorno di lezioni prima delle vacanze natalizie, fine della lezione di Fondamenti di informatica 2. Un paio di miei compagni di corso si alzano e porgono al professore, luminare dell'informatica teorica famoso a livello mondiale, un foglietto con sopra uno strano disegno.
Il docente lo guarda e accenna un sorriso di sufficienza, poi restituisce il foglio quasi a voler dire: "Non fatemi più regali così scemi".
Usciti dall'aula, chiedo ai compagni cosa avessero disegnato. Mi mostrano il foglio. C'è disegnata una struttura ben nota nell'informatica: un grafo connesso privo di cicli. Quello che gli informatici chiamano albero. Precisamente binario, perché in ogni nodo incide un numero di archi compreso tra 1 e 3. Solo che questo albero è strano, perché dagli archi pendono palle, festoni e altri oggetti.
Infatti sotto c'è una scritta: "Albero binario di Natale". Un ingenuo scherzo "nerd", insomma.
Con questo piccolo e sciocco ricordo auguro a tutti i miei lettori un sereno Natale. Auguri di cuore!
Il docente lo guarda e accenna un sorriso di sufficienza, poi restituisce il foglio quasi a voler dire: "Non fatemi più regali così scemi".
Usciti dall'aula, chiedo ai compagni cosa avessero disegnato. Mi mostrano il foglio. C'è disegnata una struttura ben nota nell'informatica: un grafo connesso privo di cicli. Quello che gli informatici chiamano albero. Precisamente binario, perché in ogni nodo incide un numero di archi compreso tra 1 e 3. Solo che questo albero è strano, perché dagli archi pendono palle, festoni e altri oggetti.
Infatti sotto c'è una scritta: "Albero binario di Natale". Un ingenuo scherzo "nerd", insomma.
Con questo piccolo e sciocco ricordo auguro a tutti i miei lettori un sereno Natale. Auguri di cuore!
giovedì 19 dicembre 2013
Altramatematica
Bè, per adesso ve lo anticipo così, un po' di corsa, anche perché sono giorni frenetici prima delle vacanze natalizie (ma poi ci sarà tempo e modo di approfondire, perché la cosa è davvero grossa e bella): oggi è stata ufficialmente presentata la collana Altramatematica, una bellissima iniziativa della casa editrice 40k Unofficial, progetto a sua volta ideato da Bookrepublic.
Come recita la presentazione:
una collana interamente dedicata all’universo matematico. Ma non parleremo solo di equazioni e teoremi: faremo insieme delle scorribande tra fisica, scienza, informatica e molto altro.
Solo e-book, leggeri nelle dimensioni (circa 40k, appunto, di testo) e nello stile, volutamente "pop". Il curatore di questa collana è quella miniera di ottime idee che è Maurizio Codogno, e non dico altro.
Anzi sì, dico che sono già disponibili, nei migliori store (Amazon, Apple, ecc.) i primi due titoli: "Matematica e infinito" di Maurizio Codogno, e "Più per meno diviso", di Peppe Liberti.
Mica gente qualunque, come vedete. Vi dico anche un'ultima cosa: dopo di loro sarà la volta di altra gente mica male: per esempio Roberto Zanasi e i Rudi Mathematici.
E poi... bè, sì, lo confesso: tra pochi giorni ci sarò anch'io!
Ma intanto non perdete tempo: scaricatevi i libri di .mau. e Liberti: costano solo 0,99 euro. E meritano davvero.
domenica 15 dicembre 2013
Carnevale della matematica #68 su MaddMaths!
Ultima edizione dell'anno per il Carnevale della Matematica! Questa volta è il prestigioso sito MaddMaths! a ospitarlo, con il suggestivo tema del tempo.
No, non quello meteorologico, ma quello cronologico, o meglio, come si chiarifica nel post carnevalizio, nel senso più precipuo di dimensione che permette di concepire e collocare lo scorrere degli eventi, sia nel senso fisico che in quello psicologico.
Il numero dell'edizione (pubblicata ieri, lo so, sono in ritardo...) è il 68. Come dice lo stesso MaddMaths!: numero molto impegnativo, se non fosse altro per le reminiscenze dovute al fatidico anno del secolo scorso.
I contributi sono molto numerosi, così come i blogger partecipanti: come sempre, alcuni dei post segnalati sono a tema, altri no. Ma si sa, il Carnevale accoglie tutti, anche Mr. Palomar che per questo mese si è limitato a partecipare con due post fuori tema (eccome fuori tema: si parlava infatti di pezzi di legno e suini).
Complimenti a tutti i partecipanti e in particolare a Robeto Natalini che ha raccolto i contributi e allestito quest'ottima edizione della kermesse.
Il Carnevale ritornerà l'anno prossimo, cioè il 14 gennaio 2014: lo ospiterà Annarita Ruberto su Matem@ticaMente, con l'affascinante tema “macchine matematiche antiche e moderne”.
Lunga vita al Carnevale!
No, non quello meteorologico, ma quello cronologico, o meglio, come si chiarifica nel post carnevalizio, nel senso più precipuo di dimensione che permette di concepire e collocare lo scorrere degli eventi, sia nel senso fisico che in quello psicologico.
Il numero dell'edizione (pubblicata ieri, lo so, sono in ritardo...) è il 68. Come dice lo stesso MaddMaths!: numero molto impegnativo, se non fosse altro per le reminiscenze dovute al fatidico anno del secolo scorso.
I contributi sono molto numerosi, così come i blogger partecipanti: come sempre, alcuni dei post segnalati sono a tema, altri no. Ma si sa, il Carnevale accoglie tutti, anche Mr. Palomar che per questo mese si è limitato a partecipare con due post fuori tema (eccome fuori tema: si parlava infatti di pezzi di legno e suini).
Complimenti a tutti i partecipanti e in particolare a Robeto Natalini che ha raccolto i contributi e allestito quest'ottima edizione della kermesse.
Il Carnevale ritornerà l'anno prossimo, cioè il 14 gennaio 2014: lo ospiterà Annarita Ruberto su Matem@ticaMente, con l'affascinante tema “macchine matematiche antiche e moderne”.
Lunga vita al Carnevale!
giovedì 5 dicembre 2013
Porcelli e paradossi
La recentissima decisione della Corte Costituzionale di dichiarare incostituzionale l'attuale legge elettorale, tristemente nota come Porcellum, genera alcuni paradossi logici interessanti.
Lungi da me affrontare qui il merito del dibattito politico di questi giorni. Non sono nemmeno un costituzionalista, per cui alcune delle ipotesi che proporrò in questo post sono quasi certamente azzardate e prive di fondamento.
Prendetele come un divertito (ma non troppo) esercizio di logica, alla ricerca di paradossi.
Ieri, dopo la sentenza della Consulta, Roberto Calderoli, ideatore della "legge-porcata", ha affermato:
”A questo punto è illegittimo il Parlamento, il presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale stessa”.
Il ragionamento del leghista è il seguente: se la Corte Costituzionale dichiara che la legge elettorale è incostituzionale, allora il Parlamento, che è stato eletto utilizzando tale legge, è esso stesso illegittimo.
E il presidente della Repubblica? Bè, viene eletto dalle Camere in seduta congiunta, per cui se a eleggerlo è un'assemblea abusiva, è da considerarsi illegittimo anche lui.
Infine, la Corte Costituzionale: un terzo dei suoi membri vengono nominati dal Parlamento, un altro terzo dal capo dello Stato, per cui almeno due terzi della Consulta sono illegittimi.
Ecco allora che le decisioni della Corte non possono essere considerate valide. Da ciò discende che lo è anche quella di ieri. E quindi? Qual è allora la conclusione del suino paradosso di Calderoli? A un certo punto del ragionamento sembrava che praticamente tutti gli organi della Repubblica fossero abusivi. Ma se lo diventa anche il punto di partenza, cioè la fonte della delegittimazione, non possiamo più concludere nulla.
Vi propongo ora un'altra ipotesi paradossale. Ripeto: non prendetela alla lettera, perché non sono un esperto di diritto costituzionale. Molto sicuramente il ragionamento da qualche parte scricchiola e non sta in piedi. Però se almeno l'inizio dell'argomentazione calderoliana fosse corretto, e quindi il Parlamento fosse illegittimo, allora esso non avrebbe più nemmeno il potere di emanare leggi, in particolare di cambiare la legge elettorale.
Insomma: il Porcellum è stato macellato dalla Consulta, e non possiamo dotarci di alternative. Questo Parlamento è decaduto, e non possiamo eleggerne di nuovi. L'Italia bloccata definitivamente in un incredibile stallo logico. Il ragionamento è sbagliato? Spero vivamente di sì. Eppure...
Lungi da me affrontare qui il merito del dibattito politico di questi giorni. Non sono nemmeno un costituzionalista, per cui alcune delle ipotesi che proporrò in questo post sono quasi certamente azzardate e prive di fondamento.
Prendetele come un divertito (ma non troppo) esercizio di logica, alla ricerca di paradossi.
Ieri, dopo la sentenza della Consulta, Roberto Calderoli, ideatore della "legge-porcata", ha affermato:
”A questo punto è illegittimo il Parlamento, il presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale stessa”.
Il ragionamento del leghista è il seguente: se la Corte Costituzionale dichiara che la legge elettorale è incostituzionale, allora il Parlamento, che è stato eletto utilizzando tale legge, è esso stesso illegittimo.
E il presidente della Repubblica? Bè, viene eletto dalle Camere in seduta congiunta, per cui se a eleggerlo è un'assemblea abusiva, è da considerarsi illegittimo anche lui.
Infine, la Corte Costituzionale: un terzo dei suoi membri vengono nominati dal Parlamento, un altro terzo dal capo dello Stato, per cui almeno due terzi della Consulta sono illegittimi.
Ecco allora che le decisioni della Corte non possono essere considerate valide. Da ciò discende che lo è anche quella di ieri. E quindi? Qual è allora la conclusione del suino paradosso di Calderoli? A un certo punto del ragionamento sembrava che praticamente tutti gli organi della Repubblica fossero abusivi. Ma se lo diventa anche il punto di partenza, cioè la fonte della delegittimazione, non possiamo più concludere nulla.
Vi propongo ora un'altra ipotesi paradossale. Ripeto: non prendetela alla lettera, perché non sono un esperto di diritto costituzionale. Molto sicuramente il ragionamento da qualche parte scricchiola e non sta in piedi. Però se almeno l'inizio dell'argomentazione calderoliana fosse corretto, e quindi il Parlamento fosse illegittimo, allora esso non avrebbe più nemmeno il potere di emanare leggi, in particolare di cambiare la legge elettorale.
Insomma: il Porcellum è stato macellato dalla Consulta, e non possiamo dotarci di alternative. Questo Parlamento è decaduto, e non possiamo eleggerne di nuovi. L'Italia bloccata definitivamente in un incredibile stallo logico. Il ragionamento è sbagliato? Spero vivamente di sì. Eppure...
martedì 26 novembre 2013
Parole informatiche: blog
C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Come continua questa storia? Con il falegname Mastro Ciliegia, che dona il pezzo di legno parlante a Maestro Geppetto? Con il burattino ribelle che Geppetto decide di scolpire? Con il Grillo Parlante, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina, Lucignolo e il Pescecane?
No, niente di tutto questo. Avete sbagliato storia.
La storia prosegue con un marinaio inglese del sedicesimo secolo, che getta in mare quel pezzo di legno.
In mare? E perché mai?
Perché qualche decennio prima un portoghese, tale Bartolomeu Crescencio, ha inventato un nuovo modo per misurare la velocità della nave. Si prende una fune annodata a intervalli regolari, la si avvolge a una bobina, e si lega un pezzo di legno alla fune; poi si butta il ceppo in acqua e lo si lascia galleggiare a fianco della nave.
Non appena la nave comincia a muoversi, la fune si srotola.
La velocità della nave viene determinata con buona approssimazione in funzione della porzione di fune che si è srotolata.
Per fare questa misurazione, il nostro marinaio inglese sta contando il numero di nodi che passano nelle sue mani in un certo intervallo di tempo.
Molto ingegnoso, non c'è che dire. Gli uomini di mare sono contenti perché in questo modo si può calcolare facilmente la velocità della nave e quindi le distanze coperte durante i viaggi.
Vi eravate mai chiesti perché ancora oggi l'unità di misura della velocità delle navi è il "nodo"? Se non lo sapevate, ora l'avete capito.
Un'altra cosa che è interessante sapere è che il nostro amico marinaio del sedicesimo secolo chiama il pezzo di legno con una parola molto breve: log.
Log è parola dell'inglese arcaico, di origine sconosciuta ma già utilizzata all'inizio del XIV secolo.
Significa semplicemente "grosso ceppo di legno", "ciocco", "tronco".
D'altra parte con questo significato viene utilizzata ancora oggi: prova ne è il testo della beatlesiana "A hard day's night", in cui John Lennon canta:
It's been a hard day's night
And I've been working like a dog.
It's been a hard day's night
I should be sleeping like a log.
ovvero:
È stata la sera di una giornata faticosa
E ho lavorato come un cane.
È stata la sera di una giornata faticosa
E dovrei già dormire come un ciocco.
Ecco che il nostro marinaio, come tutti i suoi colleghi, chiamano log il ceppo utilizzato per misurare la velocità della nave, e chiama log-book, o anche semplicemente log, il libro di bordo sul quale vengono annotate le misurazioni.
Col passare del tempo il log-book diventa un registro molto più ricco, contenente anche altri tipi di informazioni operative: ad esempio le condizioni atmosferiche, i tempi in cui avvengono determinati eventi, gli incidenti verificatisi, i membri dell'equipaggio, i porti ai quali la nave attracca, e così via.
È facile comprendere come il termine log sia stato importato dal gergo informatico con il significato di registro delle operazioni che vengono eseguite da un certo programma. Con mille diverse sfumature semantiche, il termine log è oggi utilizzato frequentissimamente nell'ambito informatico.
E il blog? La parola indica un sito web come quello che state leggendo, caratterizzato solitamente da una unica pagina ad espansione verticale, nella quale vengono pubblicate in tempo reale notizie, informazioni, opinioni o storie di ogni genere, di solito visualizzate in ordine cronologico inverso (dall’articolo più recente al più vecchio). Il termine è una contrazione di web log, cioè "registro web": si tratta appunto di una registrazione cronologica, di una sorta di diario, gestito da una o da più persone.
Al posto del nostro amico marinaio del sedicesimo secolo abbiamo oggi un modernissimo blogger, e la blogosfera ha preso il posto dell'azzurro mare solcato dal galeone inglese.
Ma anche nel web si naviga: e il cerchio si chiude.
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Come continua questa storia? Con il falegname Mastro Ciliegia, che dona il pezzo di legno parlante a Maestro Geppetto? Con il burattino ribelle che Geppetto decide di scolpire? Con il Grillo Parlante, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina, Lucignolo e il Pescecane?
No, niente di tutto questo. Avete sbagliato storia.
La storia prosegue con un marinaio inglese del sedicesimo secolo, che getta in mare quel pezzo di legno.
In mare? E perché mai?
Perché qualche decennio prima un portoghese, tale Bartolomeu Crescencio, ha inventato un nuovo modo per misurare la velocità della nave. Si prende una fune annodata a intervalli regolari, la si avvolge a una bobina, e si lega un pezzo di legno alla fune; poi si butta il ceppo in acqua e lo si lascia galleggiare a fianco della nave.
Non appena la nave comincia a muoversi, la fune si srotola.
La velocità della nave viene determinata con buona approssimazione in funzione della porzione di fune che si è srotolata.
Per fare questa misurazione, il nostro marinaio inglese sta contando il numero di nodi che passano nelle sue mani in un certo intervallo di tempo.
Molto ingegnoso, non c'è che dire. Gli uomini di mare sono contenti perché in questo modo si può calcolare facilmente la velocità della nave e quindi le distanze coperte durante i viaggi.
Vi eravate mai chiesti perché ancora oggi l'unità di misura della velocità delle navi è il "nodo"? Se non lo sapevate, ora l'avete capito.
Un'altra cosa che è interessante sapere è che il nostro amico marinaio del sedicesimo secolo chiama il pezzo di legno con una parola molto breve: log.
Log è parola dell'inglese arcaico, di origine sconosciuta ma già utilizzata all'inizio del XIV secolo.
Significa semplicemente "grosso ceppo di legno", "ciocco", "tronco".
D'altra parte con questo significato viene utilizzata ancora oggi: prova ne è il testo della beatlesiana "A hard day's night", in cui John Lennon canta:
It's been a hard day's night
And I've been working like a dog.
It's been a hard day's night
I should be sleeping like a log.
ovvero:
È stata la sera di una giornata faticosa
E ho lavorato come un cane.
È stata la sera di una giornata faticosa
E dovrei già dormire come un ciocco.
Ecco che il nostro marinaio, come tutti i suoi colleghi, chiamano log il ceppo utilizzato per misurare la velocità della nave, e chiama log-book, o anche semplicemente log, il libro di bordo sul quale vengono annotate le misurazioni.
Col passare del tempo il log-book diventa un registro molto più ricco, contenente anche altri tipi di informazioni operative: ad esempio le condizioni atmosferiche, i tempi in cui avvengono determinati eventi, gli incidenti verificatisi, i membri dell'equipaggio, i porti ai quali la nave attracca, e così via.
È facile comprendere come il termine log sia stato importato dal gergo informatico con il significato di registro delle operazioni che vengono eseguite da un certo programma. Con mille diverse sfumature semantiche, il termine log è oggi utilizzato frequentissimamente nell'ambito informatico.
E il blog? La parola indica un sito web come quello che state leggendo, caratterizzato solitamente da una unica pagina ad espansione verticale, nella quale vengono pubblicate in tempo reale notizie, informazioni, opinioni o storie di ogni genere, di solito visualizzate in ordine cronologico inverso (dall’articolo più recente al più vecchio). Il termine è una contrazione di web log, cioè "registro web": si tratta appunto di una registrazione cronologica, di una sorta di diario, gestito da una o da più persone.
Al posto del nostro amico marinaio del sedicesimo secolo abbiamo oggi un modernissimo blogger, e la blogosfera ha preso il posto dell'azzurro mare solcato dal galeone inglese.
Ma anche nel web si naviga: e il cerchio si chiude.
giovedì 14 novembre 2013
Carnevale della Matematica #67 sul Coniglio Mannaro
È sempre un bel momento quando a ospitare il Carnevale della Matematica si fa avanti un nuovo blogger. Quando poi il nuovo blogger è uno di quelli tosti, pieni di idee geniali e prolifico di bei progetti, il momento si fa davvero memorabile. Ebbene, oggi è uno di quei momenti, perché ad allestire il Carnevale numero 67 sono stati Spartaco Mencaroni e il suo Coniglio Mannaro!
L'incipit dell'edizione odierna è di quelle da ricordare a lungo:
Non li conosci? Non è vero, alcuni di loro sono amici di vecchia data.
Guarda, molti di loro ti hanno suggerito sogni e storie, e qualcuno ha anche partecipato al Carnevale della Letteratura che abbiamo ospitato.
Insomma, Coniglio, ma che figura! Abbiamo invitato i Carnevalisti Matematici e loro sono venuti a trovarti! Ti rendi conto che non puoi restare chiuso qui dentro? E’ una cosa inaccettabile!
Che dici? Ti vergogni? Ma come “non so niente di matematica!”
Hai perso il senno.
E così via. Il tema scelto per questa edizione è "la matematica e gli organismi viventi". Spartaco accompagna il Coniglio e noi in un viaggio affascinante, alla scoperta delle relazioni che legano la matematica alla vita: dalla teoria combinatoria presente nella molecola del DNA alle strutture geometriche che ritroviamo nei petali dei fiori, nelle foglie intorno agli steli e nelle conchiglie, dalle regolarità matematiche riscontrabili nel moto sanguigno al moto intelligente degli uccelli durante le migrazioni. E chi più ne ha più ne metta.
Per la seconda volta consecutiva, Mr. Palomar ha il privilegio di aprire la carrellata dei blogger contributori. Sono quattro i post segnalati: "Buon compleanno, Calvino!", "Intervista ai Rudi Mathematici", "I premi Turing: Maurice Wilkes" e "Meno male che l‘algoritmo c‘è" (che ha riscosso un gran numero di visite negli ultimi giorni).
Ma soprattutto meritano di essere ricordati gli altri contributori, brillantissimi e generosi di spunti appassionanti. Non manca (quasi) nessuno: il Blogghetto di Dioniso Dionisi, Roberto Zanasi e il suo Proooof, il blog Science4Fun, gli immancabili Rudi Matematici, Scienza e Musica di Leonardo Petrillo, Marco Fulvio Barozzi alias Popinga, Gianluigi Filippelli con DropSea, il fondatore Maurizio .mau. Codogno con le sue Notiziole, Annarita Ruberto e il suo Matem@aticamente, Con le mele – con le pere di Jean Morales, e Roberto Natalini con MaddMaths!, che ospiterà il rpossimo Carnevale con il tema non vincolante "Il tempo".
Ci sono perfino due new entry: Martino Sorbaro con il promettente blog Termueske, Pietro Vitelli con il suo sperimentale ma interessante Unclepetros.
Orsù dunque, correte a leggere il Carnevale del Coniglio!
Un grande grazie a Spartaco e a tutti i partecipanti. E lunga vita al Carnevale della Matematica!
L'incipit dell'edizione odierna è di quelle da ricordare a lungo:
Cosa c’è, Coniglio? Che ti piglia?
Non è da te restare chiuso nella tua tana, tremante con le
orecchie basse, annusando l’aria titubante, mentre fuori c’è tutta questa
gente.Non li conosci? Non è vero, alcuni di loro sono amici di vecchia data.
Guarda, molti di loro ti hanno suggerito sogni e storie, e qualcuno ha anche partecipato al Carnevale della Letteratura che abbiamo ospitato.
Insomma, Coniglio, ma che figura! Abbiamo invitato i Carnevalisti Matematici e loro sono venuti a trovarti! Ti rendi conto che non puoi restare chiuso qui dentro? E’ una cosa inaccettabile!
Che dici? Ti vergogni? Ma come “non so niente di matematica!”
Hai perso il senno.
E così via. Il tema scelto per questa edizione è "la matematica e gli organismi viventi". Spartaco accompagna il Coniglio e noi in un viaggio affascinante, alla scoperta delle relazioni che legano la matematica alla vita: dalla teoria combinatoria presente nella molecola del DNA alle strutture geometriche che ritroviamo nei petali dei fiori, nelle foglie intorno agli steli e nelle conchiglie, dalle regolarità matematiche riscontrabili nel moto sanguigno al moto intelligente degli uccelli durante le migrazioni. E chi più ne ha più ne metta.
Per la seconda volta consecutiva, Mr. Palomar ha il privilegio di aprire la carrellata dei blogger contributori. Sono quattro i post segnalati: "Buon compleanno, Calvino!", "Intervista ai Rudi Mathematici", "I premi Turing: Maurice Wilkes" e "Meno male che l‘algoritmo c‘è" (che ha riscosso un gran numero di visite negli ultimi giorni).
Ma soprattutto meritano di essere ricordati gli altri contributori, brillantissimi e generosi di spunti appassionanti. Non manca (quasi) nessuno: il Blogghetto di Dioniso Dionisi, Roberto Zanasi e il suo Proooof, il blog Science4Fun, gli immancabili Rudi Matematici, Scienza e Musica di Leonardo Petrillo, Marco Fulvio Barozzi alias Popinga, Gianluigi Filippelli con DropSea, il fondatore Maurizio .mau. Codogno con le sue Notiziole, Annarita Ruberto e il suo Matem@aticamente, Con le mele – con le pere di Jean Morales, e Roberto Natalini con MaddMaths!, che ospiterà il rpossimo Carnevale con il tema non vincolante "Il tempo".
Ci sono perfino due new entry: Martino Sorbaro con il promettente blog Termueske, Pietro Vitelli con il suo sperimentale ma interessante Unclepetros.
Orsù dunque, correte a leggere il Carnevale del Coniglio!
Un grande grazie a Spartaco e a tutti i partecipanti. E lunga vita al Carnevale della Matematica!
giovedì 7 novembre 2013
Meno male che l'algoritmo c'è
Ieri mattina, mentre facevamo colazione, mia moglie mi ha fatto leggere il "Buongiorno" di Massimo Gramellini apparso oggi sul sito della "Stampa". Già il titolo mi ha fatto andare un po' di traverso la fetta di torta che stavo mangiando: potete capire che iniziare la giornata con un articolo intitolato "Abbasso gli algoritmi" non è cosa graditissima a un informatico.
Lo spunto era una recente ricerca compiuta da due ricercatori americani. Gramellini, tra disprezzo e indifferenza, non li nomina mai, ma si chiamano Lars Backstrom e Jon Kleinberg. Secondo la descrizione che ne è stata data dalla stampa qualche giorno fa, i due scienziati hanno progettato un algoritmo che sarebbe in grado di predire la durata di una coppia.
Come scrive il giornalista:
In sintesi: chi ha molti amici e li condivide con il proprio partner costruirà un legame resistente, mentre chi separa la sfera degli amici da quella del partner farà morire il rapporto d’asfissia.
Banale, dice Gramellini, serviva un algoritmo per arrivare a una simile ovvietà? E avrebbe ragione, se davvero fosse solo questo il risultato della ricerca. In realtà, andando a leggere l'articolo di Backstrom e Kleinberg, ho scoperto che la questione della resistenza dei legami di coppia è solo un aspetto marginale della ricerca, che non viene nemmeno menzionato nell‘abstract. La tesi principale, invece, è il fatto che all‘interno di una rete che modella un insieme di relazioni sociali, i legami di coppia sono solitamente riconoscibili grazie a particolari caratteristiche topologiche.
Ecco quello che, a mio parere, è il primo errore di Gramellini: non aver compiuto un minimo di ricerca per verificare l‘attendibilità delle fonti. Al contrario si è fidato della lettura superficiale e distorta che avevano dato alcuni suoi colleghi, sulla quale si è poi basato per emettere una sentenza definitiva di inutilità dello studio dei due americani.
Ma c'è almeno un altro errore, secondo me: quello di farsi guidare da un (purtroppo molto diffuso) senso di superiorità della cultura umanistica rispetto a quella scientifica, e dalla assurda convinzione che ciò che è scientifico è per forza arido, grigio, privo di passione. Il non possedere una sufficiente preparazione scientifica e una sensibilità per questo genere di conoscenza non dovrebbe portare a sminuirla a priori, sottovalutando le sue conquiste e disprezzando i suoi protagonisti. Scrive Gramellini:
La dittatura dell’algoritmo è l’ultimo rifugio di un certo tipo di persone, per lo più maschi intellettuali con il cuore a forma di granchio e gli occhi a forma di dollaro, che non riuscendo più a sentire niente si illudono di domare le loro insicurezze con una serie di algide formulette attinte dalla marea di dati personali che le nuove tecnologie mettono a disposizione.
Ormai esiste un algoritmo per tutto: il giornale perfetto, il pranzo perfetto, il delitto perfetto. Questi aridi manichini del sapere moderno pensano di controllare la realtà, racchiudendola in una previsione statistica che consenta di anticipare i comportamenti umani per offrirli in pasto ai pubblicitari. Poi per fortuna arriva sempre qualcuno posseduto dal coraggio e dalla sana follia della passione che tira un calcio agli algoritmi e, azzardando ciò che nessuno aveva ancora previsto, ci salva. E li frega.
Gramellini, che peraltro io considero un valente giornalista e del quale, in più di una occasione, ho apprezzato la profondità d'animo e il coraggio intellettuale, qui commette un clamoroso scivolone. Mosso dal suo consueto sentimentalismo ma soprattutto da un insolito (e poco spiegabile) astio nei confronti degli scienziati, giudica, insulta, generalizza.
Aridi manichini del sapere moderno? Occhi a forma di dollaro? Cuore a forma di granchio? Come se fare scienza fosse sinonimo di avidità economica e di insensibile cinismo. Mi sa che il granchio (e anche grosso) stavolta l'ha preso Gramellini.
Lo spunto era una recente ricerca compiuta da due ricercatori americani. Gramellini, tra disprezzo e indifferenza, non li nomina mai, ma si chiamano Lars Backstrom e Jon Kleinberg. Secondo la descrizione che ne è stata data dalla stampa qualche giorno fa, i due scienziati hanno progettato un algoritmo che sarebbe in grado di predire la durata di una coppia.
Come scrive il giornalista:
In sintesi: chi ha molti amici e li condivide con il proprio partner costruirà un legame resistente, mentre chi separa la sfera degli amici da quella del partner farà morire il rapporto d’asfissia.
Banale, dice Gramellini, serviva un algoritmo per arrivare a una simile ovvietà? E avrebbe ragione, se davvero fosse solo questo il risultato della ricerca. In realtà, andando a leggere l'articolo di Backstrom e Kleinberg, ho scoperto che la questione della resistenza dei legami di coppia è solo un aspetto marginale della ricerca, che non viene nemmeno menzionato nell‘abstract. La tesi principale, invece, è il fatto che all‘interno di una rete che modella un insieme di relazioni sociali, i legami di coppia sono solitamente riconoscibili grazie a particolari caratteristiche topologiche.
Ecco quello che, a mio parere, è il primo errore di Gramellini: non aver compiuto un minimo di ricerca per verificare l‘attendibilità delle fonti. Al contrario si è fidato della lettura superficiale e distorta che avevano dato alcuni suoi colleghi, sulla quale si è poi basato per emettere una sentenza definitiva di inutilità dello studio dei due americani.
Ma c'è almeno un altro errore, secondo me: quello di farsi guidare da un (purtroppo molto diffuso) senso di superiorità della cultura umanistica rispetto a quella scientifica, e dalla assurda convinzione che ciò che è scientifico è per forza arido, grigio, privo di passione. Il non possedere una sufficiente preparazione scientifica e una sensibilità per questo genere di conoscenza non dovrebbe portare a sminuirla a priori, sottovalutando le sue conquiste e disprezzando i suoi protagonisti. Scrive Gramellini:
La dittatura dell’algoritmo è l’ultimo rifugio di un certo tipo di persone, per lo più maschi intellettuali con il cuore a forma di granchio e gli occhi a forma di dollaro, che non riuscendo più a sentire niente si illudono di domare le loro insicurezze con una serie di algide formulette attinte dalla marea di dati personali che le nuove tecnologie mettono a disposizione.
Ormai esiste un algoritmo per tutto: il giornale perfetto, il pranzo perfetto, il delitto perfetto. Questi aridi manichini del sapere moderno pensano di controllare la realtà, racchiudendola in una previsione statistica che consenta di anticipare i comportamenti umani per offrirli in pasto ai pubblicitari. Poi per fortuna arriva sempre qualcuno posseduto dal coraggio e dalla sana follia della passione che tira un calcio agli algoritmi e, azzardando ciò che nessuno aveva ancora previsto, ci salva. E li frega.
Gramellini, che peraltro io considero un valente giornalista e del quale, in più di una occasione, ho apprezzato la profondità d'animo e il coraggio intellettuale, qui commette un clamoroso scivolone. Mosso dal suo consueto sentimentalismo ma soprattutto da un insolito (e poco spiegabile) astio nei confronti degli scienziati, giudica, insulta, generalizza.
Aridi manichini del sapere moderno? Occhi a forma di dollaro? Cuore a forma di granchio? Come se fare scienza fosse sinonimo di avidità economica e di insensibile cinismo. Mi sa che il granchio (e anche grosso) stavolta l'ha preso Gramellini.
martedì 29 ottobre 2013
I premi Turing: Maurice Wilkes
Nel 1967, lo stesso anno in cui uscì il disco "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" dei Beatles, venne combattuta la guerra dei Sei Giorni in Medio Oriente e Christiaan Barnard effettuò il primo trapianto di cuore della storia, l'informatico inglese Maurice Wilkes ricevette il secondo premio Turing.
Questo pioniere della computazione, scomparso solo tre anni fa all'età di 97 anni, si meritò l'ambito riconoscimento per essere stato il principale artefice di EDSAC, uno dei primi computer della storia, che entrò in funzione all'Università di Cambridge nel maggio del 1949.
Cosa aveva di speciale questa storica macchina rispetto ai computer precedenti? Fu uno dei primissimi computer elettronici nei quali il programma veniva registrato nella memoria interna assieme ai dati: anzi, il primo in assoluto, se escludiamo le macchine costruite per scopi puramente sperimentali e non pratici. Nei precedenti calcolatori, i programmi venivano immagazzinati in una memoria distinta da quella riservata ai dati, oppure non venivano affatti memorizzati ma introdotti attraverso modifiche manuali delle connessioni dei cavi: tra i computer che implementarono questo modello, ricordo l'Atanasoff-Berry Computer, i Colossus Mark I e II, e il celebre ENIAC.
Lo schema che prevede la coesistenza del programma e dei dati nella memoria è noto come architettura di Von Neumann. Wilkes fu probabilmente il primo scienziato che comprese a fondo i vantaggi di questo modello architetturale, oggi considerato insostituibile per qualsiasi calcolatore, e volle utilizzarlo superando per sempre la tecnologia precedente.
È significativo sottolineare che Wilkes era inglese, ed EDSAC vide la luce a Cambridge: qualche anno dopo gli studi teorici di Turing, questa conquista rappresentò un'altra pagina entusiasmante nella storia della computazione britannica.
Prima della guerra, Wilkes aveva studiato matematica, sempre a Cambridge. La passione per l'informatica gli nacque quando si imbatté nei documenti di progettazione di un altro famoso computer, l'americano EDVAC. Il sogno di costruire a Cambridge una macchina ancora migliore, basata su un'architettura innovativa, si rafforzò dopo avere assistito in terra statunitense ad una serie di lezioni tenute dai ricercatori che avevano realizzato ENIAC.
Il 6 maggio 1949, quando il primo programma animò i circuiti elettronici di EDSAC producendo una lista di numeri quadrati e un elenco di numeri primi, Wilkes aveva solo 36 anni, ma già era considerato tra le massime personalità del mondo informatico mondiale. Eppure questa importante conquista già gli andava stretta: negli anni successivi, Wilkes si impegnò in nuovi importantissimi progetti, tra i quali la creazione del primo computer elettronico per uso commerciale, battezzato LEO I, la realizzazione, negli anni Settanta, di una delle prime reti di calcolatori ad alta velocità della storia, il Cambridge Ring, e soprattutto l'introduzione della tecnica della microprogrammazione, mediante la quale ogni istruzione in linguaggio macchina contenuta in un programma, anziché attivare direttamente una serie di circuiti interni del computer, richiama a sua volta un "microprogramma" contenuto in una speciale memoria di controllo.
Questo pioniere della computazione, scomparso solo tre anni fa all'età di 97 anni, si meritò l'ambito riconoscimento per essere stato il principale artefice di EDSAC, uno dei primi computer della storia, che entrò in funzione all'Università di Cambridge nel maggio del 1949.
Cosa aveva di speciale questa storica macchina rispetto ai computer precedenti? Fu uno dei primissimi computer elettronici nei quali il programma veniva registrato nella memoria interna assieme ai dati: anzi, il primo in assoluto, se escludiamo le macchine costruite per scopi puramente sperimentali e non pratici. Nei precedenti calcolatori, i programmi venivano immagazzinati in una memoria distinta da quella riservata ai dati, oppure non venivano affatti memorizzati ma introdotti attraverso modifiche manuali delle connessioni dei cavi: tra i computer che implementarono questo modello, ricordo l'Atanasoff-Berry Computer, i Colossus Mark I e II, e il celebre ENIAC.
Lo schema che prevede la coesistenza del programma e dei dati nella memoria è noto come architettura di Von Neumann. Wilkes fu probabilmente il primo scienziato che comprese a fondo i vantaggi di questo modello architetturale, oggi considerato insostituibile per qualsiasi calcolatore, e volle utilizzarlo superando per sempre la tecnologia precedente.
È significativo sottolineare che Wilkes era inglese, ed EDSAC vide la luce a Cambridge: qualche anno dopo gli studi teorici di Turing, questa conquista rappresentò un'altra pagina entusiasmante nella storia della computazione britannica.
Prima della guerra, Wilkes aveva studiato matematica, sempre a Cambridge. La passione per l'informatica gli nacque quando si imbatté nei documenti di progettazione di un altro famoso computer, l'americano EDVAC. Il sogno di costruire a Cambridge una macchina ancora migliore, basata su un'architettura innovativa, si rafforzò dopo avere assistito in terra statunitense ad una serie di lezioni tenute dai ricercatori che avevano realizzato ENIAC.
Il 6 maggio 1949, quando il primo programma animò i circuiti elettronici di EDSAC producendo una lista di numeri quadrati e un elenco di numeri primi, Wilkes aveva solo 36 anni, ma già era considerato tra le massime personalità del mondo informatico mondiale. Eppure questa importante conquista già gli andava stretta: negli anni successivi, Wilkes si impegnò in nuovi importantissimi progetti, tra i quali la creazione del primo computer elettronico per uso commerciale, battezzato LEO I, la realizzazione, negli anni Settanta, di una delle prime reti di calcolatori ad alta velocità della storia, il Cambridge Ring, e soprattutto l'introduzione della tecnica della microprogrammazione, mediante la quale ogni istruzione in linguaggio macchina contenuta in un programma, anziché attivare direttamente una serie di circuiti interni del computer, richiama a sua volta un "microprogramma" contenuto in una speciale memoria di controllo.
Nel 1951 Wilkes scrisse, assieme a David Wheeler e Stanley Gill, quello che forse rappresenta il primo libro sulla programmazione, intitolato "The preparation of programs for an electronic digital computer".
La carriera accademica di Wilkes fu ovviamente brillante: fino al 1970 guidò il laboratorio di matematica a Cambridge, e nel decennio successivo passò a dirigere quello di informatica. Negli anni successivi lavorò per la DEC e fu professore al MIT.Negli anni Ottanta collaborò anche all'Olivetti Research Laboratory di Cambridge: si trattava di un istituto di ricerca nel campo dell'informatica e delle telecomunicazioni, fondato da Hermann Hauser della Olivetti e dal professor Andy Hopper, che aveva lavorato con Wilkes al progetto del Cambridge Ring. Questo istituto fu acquisito nel 1999 da AT&T e chiuse definitivamente i battenti tre anni dopo.
Maurice Wilkes lavorò intensamente fino a metà degli anni Novanta. La sua eredità nel campo dell'informatica è enorme. È anche grazie a lui che oggi possiamo contare su computer efficienti e potenti.
giovedì 17 ottobre 2013
Intervista ai Rudi Mathematici
Con questo post ha inizio una nuova serie di interviste a personalità del mondo della divulgazione e della matematica. È quindi con grande piacere che vi presento il primo di questi appuntamenti. Ad essere intervistata non è una sola persona, ma addirittura tre: gli inimitabili, geniali e simpaticissimi Rudi Mathematici!
Chi non ha imparato ad amare la loro brillante leggerezza nel parlare di matematica? Chi non conosce la loro storica e-zine, la celebre "rivista fondata nell'altro millennio", giunta ormai al quindicesimo anno e al numero 177? E chi non si è mai cimentato con i loro divertenti enigmi presentati su "Le Scienze"?
I Rudi Mathematici sono anche autori di un libro, "Rudi simmetrie" (edizioni Coop Studi), insignito del premio Peano Giovani Autori nel 2007.
Ma bando alle ciance. Lasciamo parlare loro, i Rudi. Li ringrazio di cuore per avermi concesso l'intervista, con la loro consueta simpatia. E buona lettura a tutti!
Chi non ha imparato ad amare la loro brillante leggerezza nel parlare di matematica? Chi non conosce la loro storica e-zine, la celebre "rivista fondata nell'altro millennio", giunta ormai al quindicesimo anno e al numero 177? E chi non si è mai cimentato con i loro divertenti enigmi presentati su "Le Scienze"?
I Rudi Mathematici sono anche autori di un libro, "Rudi simmetrie" (edizioni Coop Studi), insignito del premio Peano Giovani Autori nel 2007.
Ma bando alle ciance. Lasciamo parlare loro, i Rudi. Li ringrazio di cuore per avermi concesso l'intervista, con la loro consueta simpatia. E buona lettura a tutti!
Se per “veramente” si intende
“nel mondo reale”, o ancora più banalmente, al registro dell’anagrafe, la
risposta è facile: sono Rodolfo Clerico (Rudy D’Alembert), Francesca Ortenzio
(Alice Riddle) e Piero Fabbri (Piotr Rezierovic Silverbrahms): due fisici (uno
un po’ più fisico dell’altro) e un’ingegnere (l’apostrofo è voluto). Sono
diventati Rudi Mathematici perché Rodolfo/Rudy, in ufficio, si divertiva a
tormentare e vicini di scrivania con indovinelli e problemi di matematica.
Nessuno lo ha contraddetto, finché tra i vicini di scrivania non è capitata
Francesca/Alice. Lei gli fa: “…e perché
non ci fai un giornaletto, con questi problemi?” e Rudy lo ha fatto. Lo ha
chiamato “Rudy Mathematici”, (con la ipsilon) perché è un egocentrico e perché
gli piacevano tanto i “Ludi Mathematici” di Leon Battista Alberti. Era già
tutto fatto, in pratica: Rudy che scovava problemi e Alice che mostrava al
mondo che le cose si possono fare, non solo immaginare. Poi è arrivato anche
Piero/Piotr, compagno d’università di Rudy, con il compito istituzionale di
sollevare polvere e vendere fumo. A questo punto la ipsilon è diventata una
“i”, e “Rudi Mathematici”, l’e-zine, era davvero nata. Per un sacco di tempo i
tre nomi anagrafici sono restati misteriosi e noi giocavamo a fare le primule
rosse della matematica del web (la verità? Avevamo tutti e tre una paura folle
che la gente si accorgesse che in matematica siamo scarsi, anzi, scarsissimi),
finché non siamo sbarcati in maniera del tutto inaspettata sulle pagine di Le
Scienze. Lì i nomi veri dovevano saltar fuori (insieme alle nostre
vanitosissime code di pavone), e lo hanno fatto rumorosamente, al punto di far
cadere la “acca”; e infatti lì siamo noti come “Rudi Matematici”. Lettere che
cambiano, lettere che cadono… in fondo, è quasi tutta qui, in un frullare di
lettere, la storia della nascita di RM.
A mio parere, una delle cifre più interessanti e originali del
vostro stile è una felice combinazione di matematica e narrativa. In generale,
secondo voi, queste forme di contaminazione possono rappresentare una soluzione
al problema della difficile penetrazione della scienza tra il pubblico, e un
modo efficace per trasmettere alle persone l'amore per le discipline
matematiche e scientifiche?
Esiste davvero – laboratori chimici
e reparti epidemiologi d’ospedale a parte – qualche umana disciplina o
istituzione in cui la contaminazione non sia anche e soprattutto un
arricchimento? I meticci sono quasi sempre più robusti e più svegli dei
genitori di razza pura. Nel nostro caso specifico, in realtà, il primo fronte
che volevamo sfondare era proprio quello, banale, del riconoscere alla
matematica la capacità di divertire. È indubbio che risolvere un indovinello
sia estremamente più piacevole che fare esercizi sugli integrali tripli per
passare l’esame di Analisi Due, ma allo stesso tempo è altrettanto vero che
sempre di matematica si tratta. Il primo passo è stato quindi quello di provare
ad usare un linguaggio diretto e poco formale, colloquiale e quotidiano, anche
nell’esposizione dei nostri problemini. Il passo successivo, quello di
raccontare la matematica come se la racconterebbero tre amici mentre bevono una
birra. E quando si beve una birra insieme, non si parla mica solo di
matematica… In buona sostanza, per noi era quasi una scelta obbligata: non
siamo matematici professionisti, e i matematici professionisti probabilmente si
accorgono facilmente che, anche volendo, non potremmo scrivere memorie
accademiche perché, oltre alle conoscenze tecniche, ci manca persino il “linguaggio”
giusto per certe prestazioni. Però siamo sempre stati convinti che la matematica
non sia solo quella accademica, e che fosse trasformabile in racconti, in storie,
e in chiacchiere da salotto. Il buon successo che ha trovato RM è probabilmente
un indice del fatto che sì, queste contaminazioni possono essere utili. La
scienza vera è certo una cosa diversa, ma la passione per la scienza vera
inizia dall’entusiasmo delle persone normali, e normalmente affascinabili: e se
queste persone sono giovani, magari da grandi potrebbero decidere, sull’onda
dell’entusiasmo, di diventare degli scienziati. Se sapessimo di aver convinto
anche un solo ragazzo indeciso a studiare scienza, anziché scegliere una
professione più remunerativa e normale, avremmo già (e di gran lunga) ottenuto
il nostro primario obiettivo.
Qual è il valore di un giro al
Louvre? Quale quello di vedere un bel film, di assistere a un bel concerto?
Quale quello di provare a scrivere una poesia, o di stupirsi del magico
ritorno, ogni anno, della primavera? Una volta risolti quelli che gli
scienziati chiamano “bisogni primari” come il cibo, il posto al caldo, la
possibilità di dormire al sicuro, quasi ogni altra azione degli uomini è
governata direttamente dalle emozioni e, più esplicitamente, dalla ricerca del
bello. La scienza ha una caratteristica molto particolare, non frequente nelle
altre attività umane: è utilissima per soddisfare i bisogni primari e
migliorare la qualità della vita, e inoltre è bella quanto le opere d’arte più
magnifiche. Messa in questi termini, è stupefacente che esista qualcuno che possa
decidere di ignorarla, di vivere senza avvicinarvisi. Ma succede, e succede
troppo spesso. Forse perché costa un po’ di fatica impararne il linguaggio, gli
strumenti d’utilizzo, ma è uno scotto da pagare solo all’inizio e anche
ragionevolmente piccolo, se si riesce ad intravvedere le delizie che è pronta a
disvelare. La divulgazione dovrebbe riuscire a fare un po’ questo: spiegare che
c’è un mondo spettacolare da scoprire, e che il biglietto per lo spettacolo non
costa poi tanto. Ci servono scienziati e tecnici, in Italia più ancora che
altrove; ma forse non è tanto sul “bisogno di loro” che si dovrebbe puntare: il
patto implicito nell’esortazione “studia tanto, poi avrai un lavoro sicuro” è
un’equazione complicata, in cui entrambi i termini sono in realtà poco definiti
e poco sicuri. E poi è un’equazione che tutti i giovani tengono in realtà ben presente, specie in
tempi di crisi. L’altra equazione “guarda cosa ha scoperto la scienza, ti
piacerà e ti divertirai” è molto più semplice, diretta, e assolutamente autentica.
E, probabilmente, persino più efficace della prima.
Potete dare un
consiglio ad un giovane che aspira a diventare divulgatore o a coltivare la
nobile arte della matematica ricreativa?
Noi dare consigli? Mamma mia, non
siamo mica preparati a cotanto. Quel che possiamo dire, anche se rischia di
suonare molto banale e retorico, che in un campo come questo quello che conta è
la passione. La risposta è davvero retorica e banale (si risponde sempre così,
a prescindere dal tema specifico: cosa ci vuole per diventare bravi attori?
Tanta passione. Per diventare vigili del fuoco? Tanta passione. Per fare il
record del mondo di impilatore di tessere del domino? Tanta passione. Per
essere la pornostar più acclamata del mondo? Tanta passione.) ma è difficile
darne un'altra. Anche perché, a differenza degli attori, dei vigili del fuoco e
delle pornostar, fare i divulgatori – almeno come li facciamo noi – non è certo
un lavoro che consenta di mettere insieme pranzo e cena, e meno che mai di
pagare l’affitto. Esistono bravi divulgatori di scienza, per fortuna; ma di
personaggi che siano riusciti a vivere facendo il mestiere di propugnatore della
matematica ricreativa conosciamo solo Martin Gardner. Ma lui è stato il primo,
oltre che l’unico; e poi era americano, viveva un un’epoca diversa e, in ultima
analisi, era un giornalista appassionato di matematica, e quindi un
“divulgatore” professionista ab origo.
La verità è che noi siamo lusingatissimi di sentirci chiamare “divulgatori”, ma
non abbiamo mai seriamente pensato di esserlo. Abbiamo cominciato per
divertirci e convinti che, grazie alla rete (che quindici anni fa era comunque
qualcosa di molto diverso da quello che è adesso), avremmo trovato altri che
volevano divertirsi con noi. Siamo figli dei nostri tempi, e siamo diventati
quello che siamo più per caso che per progetto. Pensi che su queste premesse potremmo
davvero dare un consiglio al nostro ipotetico giovane emulo? Se la risposta è “sì”,
allora il consiglio diventa “Fai quel che ti diverte, sempre che tu abbia
assicurato di avere di che vivere in qualche modo alternativo. E fallo con gli
strumenti che hai sottomano, che condividi con altri”.
Leggendo su "Le Scienze" i vostri giochi matematici, mi
sorprendo spesso a chiedermi come fate ogni volta a inventare enigmi così
belli! Ma secondo voi in cosa consiste veramente la bellezza della matematica?
Questa domanda richiede
innanzitutto una doverosa precisazione. Ci vergogniamo sempre un po’ a
confessarlo, ma lo abbiamo sempre detto esplicitamente: noi, quasi senza
eccezione, non inventiamo enigmi. Li cerchiamo, li sceneggiamo, li elaboriamo.
Li ricaviamo talvolta da qualche strana proprietà, altre volte li prendiamo
quasi interamente già fatti. Questo, almeno, per quanto riguarda Rudi
Mathematici, la nostra e-zine. Anche i problemi che pubblichiamo su Le Scienze
sono, quasi sempre, problemi non originali, ma lì entra in gioco anche la
narrazione, la persistenza e la caratterizzazione dei personaggi, l’obbligo di
raccontare una piccola storia (questa sì, davvero originale) entro cui
nascondere un problema. Problema che, una volta analizzato criticamente e
spogliato dal contesto, risulterà poi essere, inevitabilmente o quasi, un
problema già noto nella vasta letteratura dei problemi della matematica
ricreativa. Quindi, per una prima risposta parziale, possiamo spogliarci della
nostra notoria modestia e dire che sì, in parte, anche il confezionamento, la
sceneggiatura, e soprattutto quella che noi chiamiamo “de-matematizzazione” di un problema sono elementi importanti per
far sì che un problema risulti “bello”. Ma sono solo elementi, e tutt’altro che
esaustivi. E poi, la tua domanda è ben più ampia, più generale: non chiede:
“cosa rende un problema di matematica bello?”, ma pone il quesito ben più
ardito “in cosa consiste la bellezza della matematica?”. E questa domanda è
davvero difficile, opinabile, personale. Una delle cose più affascinanti della
matematica è il suo essere indipendente dal mondo esterno; d’altro lato, ancora
più affascinante è proprio la sua capacità (“irragionevole capacità”, l’hanno chiamata
molti saggi) di descriverlo con sorprendente efficacia. Oppure la sua profonda
capacità di scoprire cose nuove: tutte le scienze fanno delle “scoperte”, ma
quelle matematiche sorprendono di più, perché in teoria si raggiungono solo
attraverso percorsi logici, consequenziali a degli assiomi; quindi, in teoria,
sono scoperte che erano già dentro la matematica, dentro la premessa iniziale.
Tutto già dentro, eppure risulta incredibilmente stupefacente quando si squaderna,
diventando evidente. È un po’ come se, guardando un filamento di DNA, si
potesse capire tutto l’aspetto, i comportamenti, i desideri del proprietario
del DNA stesso; analizzare una piccola sequenza di acidi nucleici, e capire il
sorriso che farà quell’uomo quando gli nascerà il primo figlio. Un’altra
sequenza esaminata, e si capiscono quali siano i suoi pensieri mentre torna a
casa stanco dall’ufficio. In qualche misura, l’analogia biologica è errata,
perché molte caratteristiche dell’individuo non sono genetiche, ma causate
dalle sue esperienze e dall’ambiente. Per la matematica, invece, no: tutti i
suoi misteri che si scopriranno in futuro sono già qui, conseguenze pre-scritte
di quello che già possediamo. La matematica è un linguaggio attraverso il quale
si possono scrivere infinite opere in infinite lingue, e ne possediamo già
l’alfabeto. Ogni volta che viene scritto un nuovo teorema-romanzo, è certo una
conquista del nuovo, ma anche un riutilizzo del medesimo alfabeto. E questo,
almeno a noi, sembra bellissimo.
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