Chi non ha imparato ad amare la loro brillante leggerezza nel parlare di matematica? Chi non conosce la loro storica e-zine, la celebre "rivista fondata nell'altro millennio", giunta ormai al quindicesimo anno e al numero 177? E chi non si è mai cimentato con i loro divertenti enigmi presentati su "Le Scienze"?
I Rudi Mathematici sono anche autori di un libro, "Rudi simmetrie" (edizioni Coop Studi), insignito del premio Peano Giovani Autori nel 2007.
Ma bando alle ciance. Lasciamo parlare loro, i Rudi. Li ringrazio di cuore per avermi concesso l'intervista, con la loro consueta simpatia. E buona lettura a tutti!
Se per “veramente” si intende
“nel mondo reale”, o ancora più banalmente, al registro dell’anagrafe, la
risposta è facile: sono Rodolfo Clerico (Rudy D’Alembert), Francesca Ortenzio
(Alice Riddle) e Piero Fabbri (Piotr Rezierovic Silverbrahms): due fisici (uno
un po’ più fisico dell’altro) e un’ingegnere (l’apostrofo è voluto). Sono
diventati Rudi Mathematici perché Rodolfo/Rudy, in ufficio, si divertiva a
tormentare e vicini di scrivania con indovinelli e problemi di matematica.
Nessuno lo ha contraddetto, finché tra i vicini di scrivania non è capitata
Francesca/Alice. Lei gli fa: “…e perché
non ci fai un giornaletto, con questi problemi?” e Rudy lo ha fatto. Lo ha
chiamato “Rudy Mathematici”, (con la ipsilon) perché è un egocentrico e perché
gli piacevano tanto i “Ludi Mathematici” di Leon Battista Alberti. Era già
tutto fatto, in pratica: Rudy che scovava problemi e Alice che mostrava al
mondo che le cose si possono fare, non solo immaginare. Poi è arrivato anche
Piero/Piotr, compagno d’università di Rudy, con il compito istituzionale di
sollevare polvere e vendere fumo. A questo punto la ipsilon è diventata una
“i”, e “Rudi Mathematici”, l’e-zine, era davvero nata. Per un sacco di tempo i
tre nomi anagrafici sono restati misteriosi e noi giocavamo a fare le primule
rosse della matematica del web (la verità? Avevamo tutti e tre una paura folle
che la gente si accorgesse che in matematica siamo scarsi, anzi, scarsissimi),
finché non siamo sbarcati in maniera del tutto inaspettata sulle pagine di Le
Scienze. Lì i nomi veri dovevano saltar fuori (insieme alle nostre
vanitosissime code di pavone), e lo hanno fatto rumorosamente, al punto di far
cadere la “acca”; e infatti lì siamo noti come “Rudi Matematici”. Lettere che
cambiano, lettere che cadono… in fondo, è quasi tutta qui, in un frullare di
lettere, la storia della nascita di RM.
A mio parere, una delle cifre più interessanti e originali del
vostro stile è una felice combinazione di matematica e narrativa. In generale,
secondo voi, queste forme di contaminazione possono rappresentare una soluzione
al problema della difficile penetrazione della scienza tra il pubblico, e un
modo efficace per trasmettere alle persone l'amore per le discipline
matematiche e scientifiche?
Esiste davvero – laboratori chimici
e reparti epidemiologi d’ospedale a parte – qualche umana disciplina o
istituzione in cui la contaminazione non sia anche e soprattutto un
arricchimento? I meticci sono quasi sempre più robusti e più svegli dei
genitori di razza pura. Nel nostro caso specifico, in realtà, il primo fronte
che volevamo sfondare era proprio quello, banale, del riconoscere alla
matematica la capacità di divertire. È indubbio che risolvere un indovinello
sia estremamente più piacevole che fare esercizi sugli integrali tripli per
passare l’esame di Analisi Due, ma allo stesso tempo è altrettanto vero che
sempre di matematica si tratta. Il primo passo è stato quindi quello di provare
ad usare un linguaggio diretto e poco formale, colloquiale e quotidiano, anche
nell’esposizione dei nostri problemini. Il passo successivo, quello di
raccontare la matematica come se la racconterebbero tre amici mentre bevono una
birra. E quando si beve una birra insieme, non si parla mica solo di
matematica… In buona sostanza, per noi era quasi una scelta obbligata: non
siamo matematici professionisti, e i matematici professionisti probabilmente si
accorgono facilmente che, anche volendo, non potremmo scrivere memorie
accademiche perché, oltre alle conoscenze tecniche, ci manca persino il “linguaggio”
giusto per certe prestazioni. Però siamo sempre stati convinti che la matematica
non sia solo quella accademica, e che fosse trasformabile in racconti, in storie,
e in chiacchiere da salotto. Il buon successo che ha trovato RM è probabilmente
un indice del fatto che sì, queste contaminazioni possono essere utili. La
scienza vera è certo una cosa diversa, ma la passione per la scienza vera
inizia dall’entusiasmo delle persone normali, e normalmente affascinabili: e se
queste persone sono giovani, magari da grandi potrebbero decidere, sull’onda
dell’entusiasmo, di diventare degli scienziati. Se sapessimo di aver convinto
anche un solo ragazzo indeciso a studiare scienza, anziché scegliere una
professione più remunerativa e normale, avremmo già (e di gran lunga) ottenuto
il nostro primario obiettivo.
Qual è il valore di un giro al
Louvre? Quale quello di vedere un bel film, di assistere a un bel concerto?
Quale quello di provare a scrivere una poesia, o di stupirsi del magico
ritorno, ogni anno, della primavera? Una volta risolti quelli che gli
scienziati chiamano “bisogni primari” come il cibo, il posto al caldo, la
possibilità di dormire al sicuro, quasi ogni altra azione degli uomini è
governata direttamente dalle emozioni e, più esplicitamente, dalla ricerca del
bello. La scienza ha una caratteristica molto particolare, non frequente nelle
altre attività umane: è utilissima per soddisfare i bisogni primari e
migliorare la qualità della vita, e inoltre è bella quanto le opere d’arte più
magnifiche. Messa in questi termini, è stupefacente che esista qualcuno che possa
decidere di ignorarla, di vivere senza avvicinarvisi. Ma succede, e succede
troppo spesso. Forse perché costa un po’ di fatica impararne il linguaggio, gli
strumenti d’utilizzo, ma è uno scotto da pagare solo all’inizio e anche
ragionevolmente piccolo, se si riesce ad intravvedere le delizie che è pronta a
disvelare. La divulgazione dovrebbe riuscire a fare un po’ questo: spiegare che
c’è un mondo spettacolare da scoprire, e che il biglietto per lo spettacolo non
costa poi tanto. Ci servono scienziati e tecnici, in Italia più ancora che
altrove; ma forse non è tanto sul “bisogno di loro” che si dovrebbe puntare: il
patto implicito nell’esortazione “studia tanto, poi avrai un lavoro sicuro” è
un’equazione complicata, in cui entrambi i termini sono in realtà poco definiti
e poco sicuri. E poi è un’equazione che tutti i giovani tengono in realtà ben presente, specie in
tempi di crisi. L’altra equazione “guarda cosa ha scoperto la scienza, ti
piacerà e ti divertirai” è molto più semplice, diretta, e assolutamente autentica.
E, probabilmente, persino più efficace della prima.
Potete dare un
consiglio ad un giovane che aspira a diventare divulgatore o a coltivare la
nobile arte della matematica ricreativa?
Noi dare consigli? Mamma mia, non
siamo mica preparati a cotanto. Quel che possiamo dire, anche se rischia di
suonare molto banale e retorico, che in un campo come questo quello che conta è
la passione. La risposta è davvero retorica e banale (si risponde sempre così,
a prescindere dal tema specifico: cosa ci vuole per diventare bravi attori?
Tanta passione. Per diventare vigili del fuoco? Tanta passione. Per fare il
record del mondo di impilatore di tessere del domino? Tanta passione. Per
essere la pornostar più acclamata del mondo? Tanta passione.) ma è difficile
darne un'altra. Anche perché, a differenza degli attori, dei vigili del fuoco e
delle pornostar, fare i divulgatori – almeno come li facciamo noi – non è certo
un lavoro che consenta di mettere insieme pranzo e cena, e meno che mai di
pagare l’affitto. Esistono bravi divulgatori di scienza, per fortuna; ma di
personaggi che siano riusciti a vivere facendo il mestiere di propugnatore della
matematica ricreativa conosciamo solo Martin Gardner. Ma lui è stato il primo,
oltre che l’unico; e poi era americano, viveva un un’epoca diversa e, in ultima
analisi, era un giornalista appassionato di matematica, e quindi un
“divulgatore” professionista ab origo.
La verità è che noi siamo lusingatissimi di sentirci chiamare “divulgatori”, ma
non abbiamo mai seriamente pensato di esserlo. Abbiamo cominciato per
divertirci e convinti che, grazie alla rete (che quindici anni fa era comunque
qualcosa di molto diverso da quello che è adesso), avremmo trovato altri che
volevano divertirsi con noi. Siamo figli dei nostri tempi, e siamo diventati
quello che siamo più per caso che per progetto. Pensi che su queste premesse potremmo
davvero dare un consiglio al nostro ipotetico giovane emulo? Se la risposta è “sì”,
allora il consiglio diventa “Fai quel che ti diverte, sempre che tu abbia
assicurato di avere di che vivere in qualche modo alternativo. E fallo con gli
strumenti che hai sottomano, che condividi con altri”.
Leggendo su "Le Scienze" i vostri giochi matematici, mi
sorprendo spesso a chiedermi come fate ogni volta a inventare enigmi così
belli! Ma secondo voi in cosa consiste veramente la bellezza della matematica?
Questa domanda richiede
innanzitutto una doverosa precisazione. Ci vergogniamo sempre un po’ a
confessarlo, ma lo abbiamo sempre detto esplicitamente: noi, quasi senza
eccezione, non inventiamo enigmi. Li cerchiamo, li sceneggiamo, li elaboriamo.
Li ricaviamo talvolta da qualche strana proprietà, altre volte li prendiamo
quasi interamente già fatti. Questo, almeno, per quanto riguarda Rudi
Mathematici, la nostra e-zine. Anche i problemi che pubblichiamo su Le Scienze
sono, quasi sempre, problemi non originali, ma lì entra in gioco anche la
narrazione, la persistenza e la caratterizzazione dei personaggi, l’obbligo di
raccontare una piccola storia (questa sì, davvero originale) entro cui
nascondere un problema. Problema che, una volta analizzato criticamente e
spogliato dal contesto, risulterà poi essere, inevitabilmente o quasi, un
problema già noto nella vasta letteratura dei problemi della matematica
ricreativa. Quindi, per una prima risposta parziale, possiamo spogliarci della
nostra notoria modestia e dire che sì, in parte, anche il confezionamento, la
sceneggiatura, e soprattutto quella che noi chiamiamo “de-matematizzazione” di un problema sono elementi importanti per
far sì che un problema risulti “bello”. Ma sono solo elementi, e tutt’altro che
esaustivi. E poi, la tua domanda è ben più ampia, più generale: non chiede:
“cosa rende un problema di matematica bello?”, ma pone il quesito ben più
ardito “in cosa consiste la bellezza della matematica?”. E questa domanda è
davvero difficile, opinabile, personale. Una delle cose più affascinanti della
matematica è il suo essere indipendente dal mondo esterno; d’altro lato, ancora
più affascinante è proprio la sua capacità (“irragionevole capacità”, l’hanno chiamata
molti saggi) di descriverlo con sorprendente efficacia. Oppure la sua profonda
capacità di scoprire cose nuove: tutte le scienze fanno delle “scoperte”, ma
quelle matematiche sorprendono di più, perché in teoria si raggiungono solo
attraverso percorsi logici, consequenziali a degli assiomi; quindi, in teoria,
sono scoperte che erano già dentro la matematica, dentro la premessa iniziale.
Tutto già dentro, eppure risulta incredibilmente stupefacente quando si squaderna,
diventando evidente. È un po’ come se, guardando un filamento di DNA, si
potesse capire tutto l’aspetto, i comportamenti, i desideri del proprietario
del DNA stesso; analizzare una piccola sequenza di acidi nucleici, e capire il
sorriso che farà quell’uomo quando gli nascerà il primo figlio. Un’altra
sequenza esaminata, e si capiscono quali siano i suoi pensieri mentre torna a
casa stanco dall’ufficio. In qualche misura, l’analogia biologica è errata,
perché molte caratteristiche dell’individuo non sono genetiche, ma causate
dalle sue esperienze e dall’ambiente. Per la matematica, invece, no: tutti i
suoi misteri che si scopriranno in futuro sono già qui, conseguenze pre-scritte
di quello che già possediamo. La matematica è un linguaggio attraverso il quale
si possono scrivere infinite opere in infinite lingue, e ne possediamo già
l’alfabeto. Ogni volta che viene scritto un nuovo teorema-romanzo, è certo una
conquista del nuovo, ma anche un riutilizzo del medesimo alfabeto. E questo,
almeno a noi, sembra bellissimo.
Ma che bello!
RispondiEliminaDevo proprio ringraziarti per questa bellissima intervista.
Tu hai avuto un'ottima idea e quei tre... quei tre hanno risposto alle tue domande in modo superbo, cosa che non dovrebbe meravigliarmi visto che li "leggo" da un po'; però... però qui LORO erano "l'argomento". Molto bello anche dargli un nome ed un volto, così la prossima volta che li leggo me l'immagino seduti al tavolino di un bar a sorseggiare birra mentre raccontano e raccontano. Perché loro la Matematica la raccontano (e non è cosa da tutti).
@ Rudi
Mi son sempre chiesto (nei vostri articoli) chi tra voi scrive cosa, ovvero, quando è uno o l'altra o l'altro a parlare/raccontare realmente? Poi, già è "complicato" scrivere da solo un articolo scientifico/divulgativo... come si fa quando le mani diventano 6? E come si fa soprattutto a farlo dando comunque sempre la sensazione che il narratore sia unico?
Siete davvero forti e [...] Se sapessimo di aver convinto anche un solo ragazzo indeciso a studiare scienza, anziché scegliere una professione più remunerativa e normale, avremmo già (e di gran lunga) ottenuto il nostro primario obiettivo. [...]
Io fossi in voi sarei ben soddisfatto: son sicuro che l'obbiettivo l'avete raggiunto e ben più di una volta.
Beh, Paolo,
RispondiEliminanon posso dire che il contenuto dell'intervista mi abbia sorpreso, però confesso che leggerla così ben sistemata e presentata sul tuo blog, fa un gran bell'effetto.
Insomma, grazie, cavolo.
E a buon rendere...