giovedì 23 maggio 2019

La matematica delle scale musicali: la storia continua

Molti anni fa, agli albori di questo blog, pubblicai tre post che trattavano un argomento che considero molto attraente: la storia delle scale musicali viste da una prospettiva prevalentemente matematica.
Ecco i titoli e i link di quegli articoli:
Pitagora e la scoperta della musica
Pitagora e il cerchio che non si chiude
La scala "naturale" da Tolomeo a Zarlino

Gli articoli riscossero un notevole entusiasmo (per il primo ricevetti addirittura i complimenti della celebre cantante Antonella Ruggiero, che si disse attenta lettrice di questo blog). Tuttavia, per vari motivi la serie non proseguì oltre il terzo episodio.
In anni successivi, avevo però ripreso l'argomento della matematica delle scale musicali in un'altra serie di articoli, questa volta pubblicata sul sito di XlaTangente, un'iniziativa curata da Matematita, il Centro Interuniversitario di Ricerca per la Comunicazione e l'Apprendimento Informale della Matematica, con sede principale presso il Dipartimento di Matematica dell'Università di Milano.
Gli articoli andarono a confluire in una rubrica, intitolata "Matematica e... musica". Riporto qui i riferimenti ai sette articoli, sperando di fare cosa gradita ai miei lettori:
Parte 1: dal monocordo agli intervalli musicali
Parte 2: la costruzione della scala Pitagorica
Parte 3: tono, limma e... logaritmi
Parte 4: un cerchio che non si chiude
Parte 5: Zarlino e la scala naturale
Parte 6: La scala naturale e i suoni armonici
Parte 7: Largo alle terze e alle seste!

Ebbene, dato che è sempre un peccato lasciare una cosa a metà, e anche se è passato molto tempo, riprenderò la saga della matematica delle scale musicali e pubblicherò su questo blog alcuni nuovi post.
Attendevi, quindi, cari lettori, un quarto capitolo riguardante i difetti della scala naturale tolemaico-zarliniana. A presto!

domenica 12 maggio 2019

Newton e Treviso: una storia di attrazione fatale

Isaac Newton (1642-1727)
Come forse qualcuno di voi sa, io sono veronese, ma da ormai una dozzina d’anni vivo nei pressi di Treviso. Ebbene, il capoluogo della Marca è una città molto "matematica" per diversi motivi. Per esempio, ha legato il suo nome al più antico libro di matematica pubblicato a stampa in Occidente: Larte dell'abbacho, noto anche come L'aritmetica di Treviso, è un manuale di autore ignoto, pubblicato a Treviso nel 1478 in lingua volgare veneta, che insegnava ai mercanti a risolvere problemi di aritmetica applicata al commercio. Tornerò su questo importantissimo libro in un mio futuro post.

Esiste un altro legame tra Treviso e la scienza: o forse una storia di attrazione fatale. Al centro della vicenda c'è una delle più grandi menti di ogni epoca: il matematico e fisico inglese Isaac Newton. Che cosa c'entra il padre dell'analisi infinitesimale e della meccanica classica con la città di Giovanni Comisso e di Altan?
Il frontespizio dei Philosophiae Naturalis
Principia Mathematica
di Newton

Il 5 luglio 1687 Newton pubblicò i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica: un trattato monumentale suddiviso in tre libri, che costituisce una delle più alte vette del pensiero scientifico di tutti i tempi. Con quest'opera il genio britannico enunciava, in un colpo solo, tre teorie di enorme importanza (ne sarebbe bastata anche una soltanto per attribuire fama imperitura al suo autore): le tre leggi della dinamica classica, la legge di gravitazione universale e le fondamenta di una nuova matematica, il calcolo infinitesimale.
In particolare, questa branca della matematica introduceva il concetto di variazione infinitesima, cioè piccolissima, di una grandezza. Negli stessi anni in cui Newton gettò le basi di questa teoria, anche un altro grande pensatore, il tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz, ebbe un'intuizione equivalente: ciò avrebbe dato origine, negli anni successivi, a una delle dispute di paternità più feroci della storia della scienza.

Grazie al calcolo infinitesimale, comprendente il cosiddetto calcolo differenziale e il calcolo integrale, gli scienziati furono finalmente in grado di descrivere in modo più preciso fenomeni fisici che in precedenza erano sfuggiti a una rappresentazione quantitativa rigorosa. La stessa dinamica newtoniana e la teoria della gravitazione si basavano sui concetti di questa matematica nuova. Nei secoli successivi il calcolo infinitesimale si sviluppò moltissimo, fino a diventare oggi il pilastro fondamentale che sostiene tutte le discipline scientifiche e ingegneristiche.

Jacopo Riccati (1676-1754)
Verso la fine del Seicento, l’opera di Newton si diffuse anche in Italia. Uno dei primi a leggerla e, cosa non certo scontata, a capirla, fu Jacopo Riccati, il diciottenne rampollo di una famiglia aristocratica di Castelfranco Veneto. Riccati era iscritto alla facoltà di legge dell’Università di Padova, ma il suo vero interesse era la matematica, e per questo seguiva le lezioni di padre Stefano degli Angeli, matematico e astronomo gesuita. Grazie all’incoraggiamento dell’anziano frate, Riccati diventò rapidamente uno dei principali divulgatori delle nuove idee matematiche e scientifiche newtoniane in Italia, contribuendo così a contrastare l’immobilità e la chiusura che dominavano il panorama scientifico dell’epoca in buona parte della Penisola. La fama di Riccati come illustre matematico si estese rapidamente in tutta Europa, soprattutto grazie ai suoi carteggi con i più grandi scienziati dell’epoca.
Con la nascita del calcolo infinitesimale, nacque in particolare un nuovo tipo di problema matematico: la risoluzione di equazioni differenziali. In un'equazione differenziale l'incognita da determinare è una funzione, che compare nell'equazione stessa anche sotto forma di sue derivate.
Riccati fu uno dei pionieri di questo settore e il suo nome venne legato a una particolare equazione differenziale da lui studiata, oggi centrale nella fisica quantistica e nell’automazione: si tratta di un'equazione differenziale ordinaria quadratica nella funzione incognita, ovvero del tipo


Riccati è famoso anche per la sua indole riservata, causa primaria di alcuni clamorosi "grandi rifiuti". Per esempio l’università di Padova gli propose una cattedra come professore di matematica, ma lui declinò l'offerta. Da Vienna gli giunse la nomina a Consigliere Aulico presso la corte imperiale, ma lui oppose un nuovo rifiuto. Lo zar Pietro il Grande gli offrì addirittura la presidenza dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Pietroburgo, ma ancora Riccati preferì non allontanarsi dal Veneto.

Il frontespizio del trattato Opticks  pubblicato nel 1704 da Isaac Newton
A dispetto della sua modestia, Riccati fu un intellettuale dagli interessi vastissimi: oltre che di matematica e fisica, si occupò anche di scienze naturali, biologia, storia, questioni giuridiche, poesia e letteratura, religione, filosofia e perfino archeologia. Ogni ramo dello scibile umano era da lui studiato con notevole profondità. Le sue opere, pubblicate dal figlio Giordano dopo la sua morte, riempiono circa 2000 pagine, ma costituiscono solo una parte della sua sterminata produzione (restano esclusi infatti i carteggi, i manoscritti e altri lavori). Grazie all'opera di Jacopo Riccati e a quella dei suoi figli Vincenzo, Giordano e Francesco (che eccelsero nell'architettura, nella musica e nella matematica), la Marca trevigiana fu interessata nel Settecento da una grande vivacità culturale che va sotto il nome di "Schola riccatiana".

Se Riccati era un newtoniano convinto, un altro aristocratico trevigiano dell’epoca, Giovanni Rizzetti, architetto, matematico e fisico nato a Castelfranco Veneto nel 1675, ne era un fiero detrattore. In particolare Rizzetti compì, a partire dal 1716, una serie di esperimenti di ottica i cui risultati erano decisamente in contrasto rispetto a quelli riportati dal grande scienziato inglese nel suo trattato Opticks del 1704.

La celebre copertina di The Dark Side
of the Moon
dei Pink Floyd (1973)
Nel 1727, proprio mentre Isaac Newton moriva a Londra, Rizzetti dava alle stampe il suo trattato principale sull'ottica, intitolato De luminis affectionibus specimen physico mathematicum, nel quale prendeva le distanze dalle teorie dello scienziato inglese e in particolare dalla teoria corpuscolare della luce, sostenuta da Newton in opposizione alla visione ondulatoria di Christiaan Huygens. Tra gli esperimenti ottici descritti da Rizzetti vi era quello celebre della dispersione luminosa mediante un prisma di vetro: la luce solare bianca che viene separata nei suoi colori costitutivi per effetto dei diversi angoli di rifrazione associati alle diverse frequenze.
Già, proprio il fenomeno raffigurato nella celebre copertina dell’album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.

Le conclusioni antinewtoniane di Rizzetti trovarono sostegno presso alcuni autorevoli scienziati del tempo, tra i quali Nicolaus Bernoulli e lo stesso Jacopo Riccati. L'orientamento dominante della comunità scientifica del tempo era però a favore della dottrina newtoniana: non stupisce quindi che molti intellettuali criticarono il trevigiano e lo tacciarono di arroganza per aver osato dissentire dal grande fisico britannico. A un certo punto lo stesso Newton venne a conoscenza di questo attacco alle sue teorie: convinto che si trattasse di un complotto ordito intenzionalmente contro di lui, bollò i suoi autori, Rizzetti in primis, come “amici del signor Leibniz” (il riferimento era all'odiato pensatore tedesco con il quale era in corso la controversia per la paternità del calcolo infinitesimale).

Francesco Algarotti (1712-1764)
La città di Treviso è legata a Newton anche per una terza vicenda collegata alle precedenti e a un incontro galante avvenuto nel 1734 a Londra.La storia inizia però nel 1728 e il suo protagonista è un sedicenne conte veneziano, Francesco Algarotti. Questo brillante giovane era dotato di interessi culturali vastissimi, di grande fascino intellettuale e, fatto non trascurabile, anche di un aspetto fisico attraente. Aveva studiato a Roma e a Bologna, dove aveva approfondito le nuove teorie esposte da Isaac Newton.
Convinto che le teorie antinewtoniane di Rizzetti fossero errate, Algarotti si propose di smontarle in pubbliche dimostrazioni. In particolare, il giovane veneziano si diceva d'accordo con la tesi sostenuta dallo scienziato inglese John Theophilus Desaguliers, già assistente di Newton, secondo la quale Rizzetti aveva ottenuto risultati fallaci perché aveva utilizzato prismi fabbricati a Venezia, molto peggiori di quelli provenienti dall'Inghilterra. Tra i sostenitori di Rizzetti si diffuse allora uno slogan ironico: “Le teorie di Newton funzionano solo con i prismi inglesi”.
Ma probabilmente Desaguliers e Algarotti erano nel giusto ed effettivamente i prismi veneziani erano di qualità molto inferiore a quelli di oltremanica.

Frontespizio del saggio di Algarotti
Il newtonianesimo per le dame 
Dopo il periodo di studio bolognese Algarotti si spostò a Firenze, e poco dopo cominciò a viaggiare per l’Europa, tessendo relazioni con molte personalità dell’epoca come Voltaire, i poeti inglesi Alexander Pope e Thomas Gray, il violinista Giuseppe Tartini, Metastasio, Federico II di Prussia. La feroce disputa tra il veneziano e il trevigiano proseguì per molti anni, a suon di scritti beffardi pubblicati dall’uno contro l’altro.
Incoraggiato proprio da questo lungo litigio, Algarotti decise di scrivere un saggio per diffondere e sostenere le idee di Newton e dileggiare Rizzetti, e lo pubblicò nel 1737 con il titolo Il newtonianesimo per le dame ovvero Dialoghi sopra la luce e i colori: in esso le teorie del grande scienziato inglese vengono esposte sotto forma di una conversazione salottiera che si svolge in una località del lago di Garda tra una marchesa e un suo corteggiatore.
Nonostante il suo stile lezioso e sdolcinato (la forza di gravità viene paragonata alla passione amorosa, che si affievolisce con la lontananza), il libro riscosse un grandissimo successo in tutta Europa. In un periodo nel quale dominava l'entusiasmo quasi fanatico per le teorie newtoniane, uno dei pochi intellettuali e restarne immune fu, curiosamente, proprio Jacopo Riccati, che pure era stato tra i primi divulgatori dell'opera del grande inglese. Scrisse il matematico trevigiano:

"So bene che al giorno d'oggi molti Valentuomini si affaticano a gara per illustrare la Fisica Neutoniana; e ci è stato chi ha preteso di renderla familiare per fino alle Dame; ed io non defraudando della debita lode gli sforzi altrui, sono persuaso, che molto ci sia da delucidare, e qualche cosa forse da correggere."

Rizzetti reagì agli attacchi di Algarotti giustificandolo sarcasticamente ("Si vede che questa opposizione è da giovane"), e pubblicando nel 1741 il Saggio dell’Antinewtonianismo sopra le leggi del moto e dei colori, dove prese le distanze non soltanto dall'ottica, ma anche dalla dinamica newtoniana.

Catherine Barton (1679-1739)
La storia della nobildonna corteggiata da un brillante erudito non nasceva dal nulla, ma era sicuramente autobiografica. Numerose donne, infatti, non seppero resistere al grande fascino di Algarotti e alla sua brillante personalità: e una delle sue vittime, a quanto pare, fu nientemeno che la nipote dello stesso Sir Isaac Newton.
Catherine Barton era la seconda figlia di Robert Barton e della sua seconda moglie, Hannah Smith, sorellastra dello scienziato.
Era una donna molto bella, intelligente e brillante nella conversazione. Pare che molti intellettuali, tra cui Voltaire e Jonathan Swift, si fossero innamorati di lei.
Sposò in prime nozze il conte e poeta Charles Montagu e nel 1717 il politico John Conduitt, e accudì lo zio Isaac negli ultimi anni della sua vita.

La donna aveva 55 anni quando fu avvicinata dal ventiduenne Francesco Algarotti nel corso di uno dei suoi soggiorni londinesi.
È probabile che il nobile veneziano mise a frutto le sue famose doti di seduttore e in cambio convinse la dama a regalargli tre prismi a sezione triangolare che Newton aveva utilizzato per i suoi celebri esperimenti di ottica. Probabilmente furono proprio questi i prismi con i quali Algarotti poté ripetere pubblicamente gli esperimenti di Rizzetti e replicare i risultati di Newton, confutando definitivamente le tesi del trevigiano.
Alla morte di Algarotti gli strumenti entrarono a far parte del fondo dei manoscritti dell’erudito veneziano; nel 1879 furono acquistati dall’abate trevigiano Luigi Bailo, punto di riferimento della cultura della sua città alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, e a lungo direttore della Biblioteca Comunale e del Museo Civico.

Questi tre prismi sono conservati ora proprio nel Museo Civico di Treviso, intitolato a Bailo.
Ecco la conclusione della storia che lega Sir Isaac Newton alla città di Treviso. La cassetta di legno che custodisce i tre prismi riporta l’iscrizione “I. N. P. F. A. 1734”, ovvero “Isaac Newton Present Francesco Algarotti”, che ricorda l’incontro tra Algarotti e Catherine Barton.
Insomma, se nella loro città sono custoditi tre reliquie newtoniane così preziose, i trevigiani devono ringraziare, oltre a Bailo, anche il dotto Riccati, che creò nella Repubblica di Venezia dell’epoca un contesto scientificamente al passo coi tempi, il polemico Rizzetti, che attirò sulla questione newtoniana l’attenzione di molti, e soprattutto il brillante Algarotti, che spinto dal desiderio di mostrare la sua superiorità intellettuale e il suo fascino di rubacuori, portò i prismi in Veneto.


Letture consigliate:
- "Aspetti della società e della cultura di Treviso nel Settecento e nell'Ottocento", a cura di Valeria Favretto.
- "Cultura e scienza nella Marca del Settecento: la Schola Riccatiana" di Giorgio T. Bagni.

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