domenica 28 ottobre 2012

Pitagora e il cerchio che non si chiude

Come scrive il fisico Andrea Frova nel suo bel libro "Armonia celeste e dodecafonia" (Rizzoli, 2006), "in un'ottava si hanno infinite frequenze e in linea di principio si potrebbe far musica usandole tutte. Per varie ragioni - se non altro per il fatto che un gran numero di strumenti sono a note fisse - occorre porsi il problema di suddividere l'ottava in un certo numero di gradi discreti."
Questa esigenza fu sentita già dai Greci, e nel post "Pitagora e la scoperta della musica", avevo mostrato come il filosofo di Samo, procedendo per intervalli di quinta, caratterizzati quindi da un rapporto di 3/2 tra le altezze delle due note, aveva costruito una scala di sette suoni diversi, che abbiamo battezzato con i nomi delle note musicali: do, re, mi, fa, sol, la, si.

Nel corso del procedimento, sfruttando il fatto che l'intervallo di ottava è caratterizzato da un rapporto di 2:1 tra le altezze delle due note, Pitagora aveva diviso più volte le altezze ottenute per 2, allo scopo di riportare i suoni via via costruiti all'interno di una unica ottava. La scala risultante conteneva così le note che vanno dal do1 al do2.
La quinta e l'ottava sono quindi i due intervalli fondamentali nella costruzione della scala pitagorica. Un altro intervallo che emerge da questo schema è quello di quarta, caratterizzato da un rapporto di 4:3. Questo intervallo lo troviamo ad esempio tra il primo e il quarto grado della scala (nel nostro esempio basato sul do, tra do1 e fa1), oppure tra il quinto e l'ottavo (tra sol1 e do2), e in generale tra due note qualsiasi separate da quattro gradi.
Perché Pitagora si basò sugli intervalli di quinta e di ottava (e conseguentemente, di quarta) per costruire la sua scala? Evidentemente perché già nella tradizione musicale greca questi intervalli erano considerati consonanti, cioè era ritenuta piacevole la sensazione che si provava nell'ascoltare simultaneamente due note separate tra loro da uno di questi intervalli.  Basando la costruzione della scala su questi intervalli, Pitagora voleva far sì che suonando insieme più note della scala l'effetto uditivo fosse gradevole.
La grande scoperta che Pitagora ritenne di avere compiuto era la corrispondenza tra la sensazione di consonanza tra note e i rapporti numerici semplici tra le altezze delle note stesse.

I numeri coinvolti nei rapporti che caratterizzano i tre intervalli di ottava, quinta e quarta (2:1, 3:2; 4:3) sono infatti semplicemente i primi quattro numeri naturali: 1, 2, 3 e 4.  Questo non può far pensare alla cosidetta tetraktýs, il "quartetto" sacro che veniva rappresentato graficamente sotto forma di triangolo equilatero di lato quattro e che riconduceva alla somma magica 1+2+3+4 = 10.
All'interno della setta pitagorica, l'importanza di questo simbolo era tale che su di essa i discepoli prestavano giuramento e la scuola stessa era intitolata al sacro triangolo.
I quattro livelli venivano collegati ai quattro elementi che i presocratici consideravano i principi cosmici fondamentali: Fuoco, Aria, Acqua, Terra.

La connotazione religiosa di questo simbolo triangolare non era limitata ai pitagorici, ma si ritrova anche in molti culti orientali.
Vale la pena ricordare anche come il triangolo sacro ai pitagorici sia strettamente collegato ad un quadrato latino come quello indicato nella figura a fianco: oltre ad essere un quadrato latino, cioè ad avere su ogni riga e su ogni colonna tutti i numeri da 1 a 4, è anche simile ad un quadrato magico, perché la somma dei numeri su ogni riga, su ogni colonna e su ciascuna delle due diagonali dà come risultato 10 (a rigore, non si tratta di un vero quadrato magico perché le cifre utilizzate non sono distinte, ma ognuna si ripete quattro volte).

Ma torniamo alla scala musicale pitagorica. In "Pitagora e la scoperta della musica" avevo osservato che le note della scala risultano disposte in modo piuttosto uniforme. Ciò equivale a dire che gli intervalli tra due note consecutive sono di due soli tipi: il tono, che corrisponde al rapporto 9:8, e la limma, che corrisponde al rapporto 256:243.
Per sommare tra loro due intervalli è necessario moltiplicare tra loro i rapporti corrispondenti ai due intervalli: ad esempio, un intervallo pari a due limme corrisponde al rapporto (256:243) x (256:243) ≈ 1,1099, che è diverso dal rapporto associato al tono, pari a 9/8 ≈ 1,125.

Per poter trattare gli intervalli mediante addizioni anziché moltiplicazioni, qualcuno (precisamente il matematico inglese Alexander Ellis nel 1885) ha pensato di usare i logaritmi, dato che il logaritmo del prodotto di due numeri è uguale alla somma dei rispettivi logaritmi. Introducendo una unità chiamata cent, e fissando convenzionalmente a 1200 cent l'ampiezza di una ottava, il numero di cent legato a un certo intervallo è uguale a 1200 * log2R, dove R è il rapporto corrispondente all'intervallo considerato.
In questo modo, si ottiene che il tono è pari a 1200 * log2(9/8) ≈ 203,91 cent e la limma è pari a 1200 * log2(256:243) ≈ 90,22 cent. Il fatto che un intervallo di un tono non eguagli un intervallo di due limme si traduce a questo punto nel fatto che i 203,91 cent che formano un tono non sono il doppio dei 90,22 cent della limma.
La definizione logaritmica degli intervalli musicali è più facile da comprendere, in quanto consente di comporre gli intervalli in modo additivo anziché moltiplicativo. Ma non è questo l'unico motivo per preferire i cent ai rapporti: la nostra percezione delle altezze sonore è approssimativamente logaritmica, allo stesso modo della risposta del nostro orecchio alle intensità sonore.

Mi piace allora riproporre l'ultima tabellina del post "Pitagora e la scoperta della musica" esprimendo gli intervalli non solo come rapporti ma anche con l'indicazione (approssimata) dei cent.
Come si vede dalla tabella, una quinta corrisponde a circa 702 cent, e una quarta a circa 498 cent.


NOTE
do1
re1
mi1
fa1
sol1
la1
si1
do2
RAPPORTI
1
9:8 = 1,125
81:64 = 1,266
4:3 = 1,333
3:2 = 1,5
27:16 = 1,687
243:128 = 1,898
2:1 = 2
CENT
0
203,91
407,82
498,04
701,95
905,86
1109,77
1200






Scrivevo poco fa che due limme non fanno esattamente un tono. Due limme equivalgono a circa 180,44 cent, e la differenza dai circa 203,91 che compongono un tono equivale approssimativamente a 23,47 cent: questo intervallo, percepibile da un orecchio musicalmente sensibile, viene detto comma pitagorico.
Questo errore è lo stesso che si ottiene ad esempio salendo di dodici quinte e scendendo poi di sette ottave.
Infatti, secondo il sistema pitagorico, dodici quinte equivalgono a 12*701,95 = 8423,4 cent, mentre sette ottave sono 7 * 1200 = 8400 cent: ritroviamo come differenza quei 23,4 cent che costituiscono il comma pitagorico.
In sostanza, non riusciamo a chiudere il cerchio delle quinte, almeno dopo 12 passi.
Forse ce la possiamo fare con un numero più alto di passi? Ad esempio, intorno al 40 a.C. il cinese King Fang si accorse che un intervallo di 53 quinte è molto vicino ad un intervallo di 31 ottave: ma anche in questo caso si ha un errore, pari a 53*701,95 - 31*1200 = 37203,35 - 37200 = 3,35 cent.
In generale, il cerchio non si chiuderà mai, semplicemente perché non esistono due numeri interi m e n tali per cui:
Più che un cerchio delle quinte, quindi, nella scala pitagorica abbiamo una "spirale delle quinte", che non si chiude mai in entrambe le direzioni.
Se fissiamo m=1 e risolviamo l'equazione precedente in n, otteniamo n = log23 - 1 ≈ 0,585, che è ovviamente un numero irrazionale: curiosamente il grande incubo di Pitagora, l'esistenza dei numeri irrazionali, è alla base del fenomeno del comma, cioè del principale difetto della sua scala musicale.

Il perfido comma pitagorico salta fuori ovunque quando si analizza la scala del filosofo di Samo. Torniamo al famoso cerchio delle quinte che abbiamo usato per costruire la scala: di quinta in quinta avevamo attraversato le note fa, do, sol, re, la, mi e si. Partendo dal si e procedendo ancora per quinte, si cominciano a toccare delle note che i musicisti chiamano di solito "accidentate", cioè le note con il segno del diesis.
Dopo il si, otteniamo una nota compresa tra il fa e il sol, che chiamiamo fa# (fa diesis); poi, successivamente, otteniamo do#, sol#, re#, la#, mi#, e così via.
Ma facciamo i conti per vedere cosa succede di preciso. Se aggiungiamo i 701,95 cent tipici di una quinta ai 1109,77 cent del si1, abbiamo 1811,77 cent. Sottraendo 1200 cent per scendere di un'ottava, otteniamo una nota di 611,77 cent, che si trova tra il fa e il sol e chiamiamo quindi fa#.  Precisamente, l'intervallo tra il fa e il fa# è pari a 113,73 cent, che non è la stessa cosa dei 90,22 cent che caratterizzano la limma.
Qual è la differenza tra i due intervalli? Guarda un po', sono sempre quei 23 cent che formano il famigerato comma pitagorico.
La morale della favola è che la limma interviene nella scala pitagorica come intervallo di separazione tra note che formano la scala stessa, ad esempio tra mi e fa e tra si e do, e per questo viene chiamata anche "semitono diatonico".  Invece,  gli intervalli tra una nota e la propria versione alterata con un diesis (ad esempio tra fa e fa#, oppure tra do e do#) sono più grandi, e vengono detti "semitoni cromatici".
La differenza tra i due tipi di semitoni è uguale a un comma pitagorico.

Lo stesso intervallo che esiste tra una nota e la propria versione con diesis lo ritroviamo, a ritroso, tra la nota stessa e la propria versione alterata con un bemolle. Ad esempio, tra un solb e un sol abbiamo un intervallo pari a un semitono cromatico, cioè 113,73 cent.  La nota solb, in particolare, corrisponde a 588,22 cent.
Cosa comporta questo fatto? Ad esempio, che solb e fa# non sono la stessa nota (588,22 cent 611,77 cent), e in particolare il fa# risulta più acuto del solb.  Ancora una volta, l'intervallo tra le due note è pari a un comma pitagorico.
La scala pitagorica con diesis e bemolli, quindi, richiederebbe 21 note, disposte nell'ordine seguente:
dob-si, reb-do#, re, mib-re#, fab-mi, fa-mi#, solb-fa#, sol, lab-sol#, la, sib-la#, dob-si.
E' come se sulla tastiera di un pianoforte, venissero sdoppiati non soltanto tutti i tasti neri, che come è noto corrispondono alle note alterate, ma anche i tasti bianchi che distano di un semitono: complicatissime tastiere "enarmoniche" di questo tipo vennero realmente costruite nel Cinquecento, come illustrato nella figura sopra.

domenica 21 ottobre 2012

Carnevale dei Libri di Scienza #13 su BiblioBredaBlog

Tocca  a BiblioBredaBlog, il blog della Biblioteca di Breda di Piave (TV) e dei suoi gruppi di volontari, l'onere e l'onore di aprire il secondo anno di vita del Carnevale dei Libri di Scienza.
Il tema di questa edizione numero 13 è certamente affascinante, e molto caro anche a Mr. Palomar le scienze nella letteratura.
La Biblioteca di Breda dedica da molti anni una particolare attenzione ai temi della divulgazione scientifica, attraverso iniziative di varie tipo, e questo Carnevale è la tappa recente di questo percorso di sensibilizzazione.
Le recensioni segnalate per questa edizione non sono numerosissime, ma forniscono spunti interessanti: dalla trilogia "Queste oscure materie" di Philip Pullman proposta da Knedliky al classico "Flatlandia" di Edwin Abbott recensito da Taccuino 22, dall'omaggio a Isaac Asimov del blog di Rosa Maria Mistretta ai racconti di "Paura della matematica" segnalati da Scienza Express. Mr. Palomar ha contribuito con il suo post su "La vita istruzioni per l'uso" di Georges Perec. Mi ha fatto piacere trovare segnalati, all'interno del Carnevale, anche li stuzzicanti post che Alessandro Aquilano aveva scritto qualche mese fa sul romanzo di Perec.
Complimenti a BiblioBredaBlog e a tutti i partecipanti, e buona lettura!

martedì 16 ottobre 2012

Il grande quadrato di Perec

Nel mio vecchio post "La matematica di Ummagumma (Parte 2)" citavo il celebre romanzo "La vita istruzioni per l'uso" di Georges Perec, costruito sopra un quadrato greco-latino 10x10.
Riprendo l'argomento dopo più di un anno e mezzo perché recentemente ho ripreso in mano il libro, e leggendo le sue pagine l'urgenza di fare chiarezza sui suoi presupposti combinatori si faceva sempre più impellente. Sapevo che Perec stesso aveva spiegato le basi matematiche del romanzo nei suoi appunti di lavoro, e in effetti il libro "Specie di spazi", edito da Bollati Boringhieri, raccoglie, tra il resto, anche queste note; ma dopo avere scovato questo volume, mi sono imbattuto anche in un sito (francese, ovviamente) che mi ha ulteriormente aiutato a soddisfare le mie curiosità.
Ma procediamo un passo alla volta.
Perec pubblicò il libro nel 1978, dedicandolo alla memoria di Raymond Queneau. Italo Calvino apprezzò grandemente l'opera di Perec, considerandola come un punto di svolta nella storia del romanzo, e indicandola anzi come notevole esempio di "iperromanzo". Anche molti altri autori italiani accolsero il romanzo di Perec come un vero capolavoro.

Come già ricordavo nel post dell'anno scorso, il libro è costituito da 99 capitoli, ognuno dei quali rappresenta l'istantanea di una stanza di un condominio di dieci piani. Perec stesso scrisse:
Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata... in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell'edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili.

Perec descrive ogni stanza in modo estremamente particolareggiato, soffermandosi spesso su dettagli legati ai suoi inquilini di oggi e di ieri, alle loro storie, alle loro passioni, alle loro vite.
Quella che può apparire, all'inizio della lettura, come maniacale pedanteria, diviene ben presto uno stile necessario, piacevole, irrinunciabile, funzionale al graduale dipanarsi della complessa trama.


Ma non temete: non vi parlerò dell'intricato puzzle dei personaggi e delle loro storie, un po' per non guastarvi la sorpresa e un po' perché non basterebbero dieci post per dare una pallida idea della trama.

Riprenderò invece il tema del quadrato greco-latino, che nel vecchio post avevo soltanto accennato: chi volesse intraprendere la lettura di questa monumentale opera senza trascurare i suoi aspetti matematici troverà probabilmente molto utile il sito francese e le chiavi di lettura che mi accingo a fornire.

Nella pagina dedicata ai contraintes (vincoli) sono riportati i 42 elenchi di 10 elementi ciascuno che Perec compose per utilizzarli come "vincoli narrativi". Come potete vedere, ci sono due elenchi di autori che possono essere citati (citation 1 e citation 2), un elenco di epoche (époque), uno di animali (animaux), uno di sentimenti (sentiments), e così via.  In ognuno degli elenchi gli elementi sono identificati dalle lettere a, b, c, ..., j.
Ogni elenco è contrassegnato da un codice, riportato nella colonna id e formato da una lettera (A oppure B oppure C) e da una cifra (da 0 a 9). Se trascuriamo la differenza tra lettere maiuscole e minuscole, gli elenchi risultano riuniti in 21 coppie: ad esempio, i primi due elenchi, rispettivamente contenenti posizioni (position) e attività (activité), sono accoppiati e contrassegnati dal codice 1A/1a.

E' a questo punto che entra in scena il quadrato greco-latino 10x10: esso è rappresentato nella pagina l'immeuble, e le sue caselle corrispondono alle stanze del condominio parigino (e quindi ai capitoli del romanzo).
Come i miei lettori probabilmente già sanno, un quadrato greco-latino è una scacchiera quadrata che contiene, in ogni casella, una coppia di simboli, in modo tale che ogni simbolo compaia esattamente una volta in ogni riga e in ogni colonna, e che ogni coppia compaia esattamente una volta nell'intera scacchiera.
Originariamente era consuetudine usare coppie formate da una lettera greca e una lettera latina, da cui il nome di questo oggetto matematico.
Esistono quadrati greco-latini di lato n per ogni n maggiore di 2 e diverso da 6. Quello che Perec impiegò è descritto dallo stesso scrittore, in "Specie di spazi, come un "bi-quadrato latino ortogonale d'ordine 10 (quello di cui Eulero congetturò la non esistenza, ma che fu scoperto nel 1960 da Bose, Parker e Shrikhande)."

Ogni casella del quadrato greco-latino 10x10 corrisponde ad una delle stanze del condominio, e quindi a uno dei capitoli del romanzo.
Ora, per ciascuna delle coppie di elenchi definite sopra (ad esempio l'elenco di posizioni e quello di attività), Perec si servì di questo quadrato latino per assegnare ad ogni stanza (e quindi ad ogni capitolo) una coppia di valori tra quelli ammessi dagli elenchi.
Ad esempio, consideriamo la casella associata al capitolo 58, intitolato Réol,1: se vi clicchiamo sopra, troviamo il dettaglio relativo a questo capitolo, e scopriamo che il quadrato ha stabilito "inginocchiato" (agenouillé) come posizione, e "leggere, scrivere" (lire, écrire) come attività.
Ecco allora che il capitolo 12 del libro contiene,in effetti, riferimenti all'essere inginocchiato e alle attività del leggere e dello scrivere:
"Olivier Gratiolet è seduto davanti a un tavolino pieghevole coperto da un drappo verde, sta leggendo. La figlia Isabelle, che ha tredici anni, è inginocchiata sul pavimento di legno..."

Lo stesso procedimento va ripetuto per tutte le altre coppie di elenchi, così da riempire le caselle del quadrato greco-latino con coppie di valori estratti dagli elenchi predefiniti e utilizzarle poi nei rispettivi capitoli come vincoli narrativi.
Perec ha allestito il suo enorme puzzle narrativo vincolando la scrittura tramite questo vertiginoso macchinario combinatorio, studiato in modo tale da distribuire i vincoli in modo equilibrato.
Ho descritto il funzionamento solo in superficie: studiando più a fondo la macchina di Perec si scoprono altre particolarità, eccezioni e raffinatezze che non potrebbero essere descritte in queste poche righe.

Anche il modo in cui i capitoli del libro sono distribuiti sulle caselle del quadrato 10x10 non è casuale, e costituisce un ulteriore vincolo: se guardate ancora la pagina l'immeuble, vi accorgete che si passa sempre da un capitolo al successivo compiendo una spostamento che nel gioco degli scacchi corrisponde la mossa del cavallo (due caselle in avanti e una a lato).
La ricerca di un percorso che visita tutte le caselle della matrice, ciascuna una e una sola volta, utilizzando ad ogni passo la mossa del cavallo, è un problema classico di topologia, noto come problema del "giro di cavallo", che di fatto è un caso particolare del problema del cammino hamiltoniano.
Perec ha utilizzato in questo caso una delle innumerevoli soluzioni esistenti su una scacchiera 10x10, ma ha commesso (volutamente o no?) un errore nel passaggio dalla casella 65 alla casella 66, come potete facilmente constatare nella pagina l'immeuble.
In questa pagina trovate una possibile correzione al giro di cavallo di Perec.

Con queste poche note ho soltanto scalfito la superficie dell'intricato mondo combinatorio di Perec.
Non vorrei che queste considerazioni sugli aspetti matematici del romanzo fossero prese come unica o principale chiave di lettura dell'opera di Perec, che rimane, principalmente, un'opera letteraria di altissimo livello.  I numerosi appigli matematici non fanno del romanzo di Perec un arido puzzle senza anima: al contrario rendono ancora più affascinante ed enigmatica un'opera che viene considerata tra i massimi capolavori del Novecento.

domenica 14 ottobre 2012

Carnevale della Matematica #54 sul Post


E' giunto oggi all'edizione numero 54 il glorioso Carnevale della Matematica, e quando l'evento viene ospitato dal suo stesso creatore, Maurizio .mau. Codogno, si tratta sempre di un avvenimento di particolare importanza.
Com'è ormai consueto, anche questa edizione si presenta ricca di interessanti contributi.
Mr. Palomar ha partecipato con tre post: quello a tema dedicato al paradosso dei corvi e due fuori tema, dedicati rispettivamente alla costruzione della scala pitagorica e al termine informatico "libreria".
Complimenti a tutti i partecipanti e al "grande raccoglitore" .mau.!
La prossima edizione del Carnevale della Matematica sarà ospitata da MaddMaths! e, per ora, non è stato stabilito un tema.
A proposito di Carnevali, ricordo a tutti di segnalare, entro giovedì 18, i vostri contributi per il Carnevale dei Libri di Scienza, che questo mese sarà ospitato da BiblioBredaBlog con l'interessante tema "Le scienze nella letteratura".
Buoni Carnevali a tutti!

mercoledì 10 ottobre 2012

Corvi neri, mele rosse


Nel corso dei secoli, i filosofi della scienza hanno a lungo dibattuto sulla questione se il metodo scientifico sia fondato sulla deduzione o sul’induzione. Un ragionamento deduttivo ricava conclusioni particolari partendo da una legge universale. Aristotele sostenne il ruolo fondamentale della deduzione nel pensiero scientifico, e identificò nel sillogismo (un esempio è il classico “Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale”) lo strumento deduttivo per eccellenza.
Con l’avvento della scienza moderna, da Galileo in poi, metodo scientifico divenne sinonimo di metodo sperimentale, e accanto al ragionamento deduttivo acquistò grande importanza l’approccio induttivo.
Al contrario della deduzione, l’induzione ricava conclusioni universali a partire da verità particolari.  In altre parole, l'induzione porta a generalizzare osservazioni particolari.   
Tutti noi facciamo induzioni, continuamente, senza rendercene conto: ad esempio usciamo di casa senza temere per la nostra incolumità, implicitamente inducendo da precedenti esperienze che l’asfalto sosterrà il nostro peso, che il sole non ci ucciderà con il suo calore, che l’aria sarà respirabile, e così via. 
Nell’ambito scientifico, se un fisico osserva che una certa proprietà vale per una certa particella, dopo un certo numero di conferme sperimentali, potrebbe indurre che la proprietà vale per tutti le particelle di quel tipo esistenti nell’universo.

Ma tutti noi sappiamo che generalizzare non porta sempre a conclusioni veritiere. Vediamo una mela rossa, o anche una cassa strapiena di molte mele rosse, ma ciò non ci autorizza a concludere che tutte le mele del mondo siano rosse.
Se il giorno dieci di ottobre è uscito su Mr. Palomar un post che parla di logica e di paradossi, non è detto che ogni giorno dieci del mese esca un post sullo stesso argomento.
In generale, l'induzione è un'arma potentissima che va però maneggiata con cura: oltre ai rischi che derivano da una cattiva applicazione del metodo, esistono sottili problematiche di natura paradossale che sono insite nello stesso approccio.
Il primo a dimostrare l'esistenza di questi problemi fu il filosofo tedesco Karl Hempel, ideatore del famoso "paradosso dei corvi".
Se è vero che indurre un principio generale assoluto da un'osservazione particolare non è sempre possibile, ragionò Hempel, possiamo comunque "rilassare" la portata dell'induzione dicendo che l'osservazione particolare porta una conferma, pur limitata, alla verità del principio generale. 
Ad esempio, se io osservo un corvo nero, non posso concludere che tutti i corvi del mondo sono neri, ma è pur vero che la mia osservazione è una piccola conferma del fatto che i corvi sono in generale neri.
E fin qui nessun problema.

Ma se invece di considerare l'affermazione generale "tutti i corvi sono neri", prendo in esame l'affermazione "tutte le cose non nere non sono corvi", ecco che sorgono le complicazioni. 
Le due affermazioni, da un punto di vista logico, sono perfettamente equivalenti. Se è vero che tutti i corvi sono neri, infatti, è chiaro che se troviamo una cosa che non è nera, non potrà essere un corvo, e viceversa.
Ebbene, come possiamo portare una piccola conferma sperimentale al fatto che "tutte le cose non nere non sono corvi"? Semplicemente osservando una cosa non nera che non è un corvo.

Una mela rossa va bene?  Bè, nessuno può negare che se sto osservando una mela rossa, ho sotto gli occhi una conferma del principio generale "tutte le cose non nere non sono corvi". E dato che questo principio, come abbiamo visto, è perfettamente equivalente alla grande verità "tutti i corvi sono neri", ecco che la mia mela rossa si rivela una prova a sostegno della tesi che i corvi sono tutti neri!
Com'è possibile? Cosa diavolo c'entra la mela rossa con i corvi?
Allora andrebbe bene anche osservare una mela gialla. O un  prato verde. O il cielo azzurro. O qualsiasi cosa.
E' come se in un processo, come prova a favore del fatto che una certa arma è stata usata in un delitto, venisse presentato un cappello: già, perché si tratta di un oggetto che non è un arma e non ha fatto fuoco.
Eppure, come avete potuto constatare, non ho commesso nessun imbroglio logico. Non c'è alcun gioco di prestigio.
Siamo di fronte a un evidente paradosso.

I paradossi, si sa, esigono, se non una soluzione, almeno un tentativo di trovarne una.
E in questo caso, come possiamo fare?  La spiegazione che più frequentemente viene fornita consiste nell'accettare che in realtà un collegamento tra le mele e i corvi esiste, per quanto debole. Osservare una mela rossa è poca cosa, ma immaginiamo di  catalogare molti altri oggetti non neri, annotando ogni volta che non si tratta di corvi: se, teoricamente, potessimo continuare questa strana attività per un tempo estremamente lungo, a un certo punto esauriremmo tutti gli oggetti non neri dell'universo, e potremmo concludere che nessuno di loro è un corvo. La conclusione, questa volta del tutto lecita, sarebbe che i corvi sono tutti neri.
La singola osservazione di una mela rossa, quindi, per quanto di portata infinitesima rispetto all'impresa di catalogazione universale, ha un suo valore di conferma.

Questa proposta è una delle molte che sono state concepite per cercare di spiegare il paradosso di Hempel. Ma, a ben vedere, un altro problema sorge: se l'esistenza della mela rossa serve a sostenere il fatto che i corvi sono tutti neri, perché non usare la stessa mela per confermare anche un'affermazione opposta, ad esempio "tutti i corvi sono bianchi" (cioè "tutte le cose non bianche non sono corvi")?
Nessuno ce lo impedisce, se ci pensate bene. Ma allora l'osservazione della mela rossa può essere usata come prova a favore di due affermazioni logicamente contrastanti!
Questo è un aspetto ancora più paradossale del precedente, che non può essere spiegato altrettanto facilmente. Ma è solo un assaggio dei problemi logici che sorgono quando ci si addentra appena un poco nel terreno minato dell'induzione. Fiumi d'inchiostro sono stati versati su questi temi, e questo mio post non è che un limitatissimo assaggio dell'argomento.

L'ultimo post di Mr. Palomar, anzi no

Sono trascorsi quasi 14 anni da quel Capodanno del 2011, quando Mr. Palomar  vide la luce. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, c...