lunedì 30 aprile 2012

Mr Q. #1: Borges, Paperino e il computer quantistico

Nel 1941 il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges pubblicava una raccolta di racconti intitolata "Il giardino dei sentieri che si biforcano". L'ultimo racconto, famosissimo, dava il titolo all'intera raccolta, ma anche nel resto del libro comparivano alcuni capolavori dell'opera di Borges, come "La biblioteca di Babele", "Tlön, Uqbar, Orbis Tertius" e "Pierre Menard, autore del Chisciotte".
Tre anni dopo i racconti vennero ripubblicati in una raccolta più ampia, la celebre "Finzioni", nella quale appariva una seconda parte con alcune storie inedite.

Nel "Giardino dei sentieri che si biforcano" sono narrate le vicissitudini di un tale Yu Tsun, professore cinese che fa la spia per i tedeschi durante la prima guerra mondiale. Parlando con Stephen Albert, uno studioso di  letteratura cinese, Yu Tsun ricorda il suo celebre antenato Ts'ui Pen, noto per avere scritto un romanzo contraddittorio e per aver costruito un labirinto che nessuno è mai riuscito a ritrovare. Albert spiega che in realtà libro e labirinto sono la stessa opera: non un labirinto fisico, ma un labirinto simbolico, un romanzo che attraverso una struttura ad albero infinitamente ramificata descrive tutti i futuri possibili di un evento.

- Prima di ritrovare questa lettera, m'ero chiesto in che modo un libro potesse essere infinito. (...) In tutte le opere narrative, ogni volta che s'è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts'ui Pên, ci si decide - simultaneamente - per tutte. Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano. Di qui le contraddizioni del romanzo. 
(...)
- Precisamente , - disse Albert. - Il giardino dei sentieri che si biforcano è un enorme indovinello, o parabola, il cui tema è il tempo. (...) A differenza di Newton e di Schopenhauer, [
Ts'ui Pên] non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che si accostano, si biforcano, si tagliano o s'ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo; in alcuni esiste lei e io no; in altri io, e non lei; in altri, entrambi.

Nel saggio "Il programma del'universo" (Einaudi, 2006), il fisico e informatico americano Seth Lloyd racconta che un giorno di primavera del 1983 se ne stava a bere champagne con alcuni compagni di studi nel giardino del Master dell'Emmanuel College, a Cambridge (bè, beato lui: quando studiavo a Padova era già tanto concedersi ogni tanto una birra media). Ad un certo punto si intromise una signora per far notare ai bravi giovincelli che seduto poco più in là c'era niente meno che il più grande scrittore vivente, Jorge Luis Borges, e sarebbe valsa la pena di parlargli. Seth Lloyd si avvicinò all'anziano signore e gli domandò se era consapevole del fatto che "Il giardino dei sentieri che si biforcano" rifletteva la cosiddetta "interpretazione a molti mondi" della meccanica quantistica.  Borges rispose che quando scrisse il racconto non lo fece sotto l'influenza della fisica quantistica, e d'altra parte non era sorpreso del fatto che le leggi della fisica potessero rispecchiare artifici letterari: dopo tutto, anche i fisici leggono libri.

L'"interpretazione a molti mondi" della meccanica quantistica venne proposta dal fisico Hugh Everett nel 1957, una quindicina di anni dopo la pubblicazione del racconto di Borges.
Prima del lavoro di Everett, la meccanica quantistica veniva giustificata unicamente secondo l'interpretazione di Copenaghen, così chiamata perché ispirata ai lavori condotti da Heisenberg e Bohr in Danimarca, negli anni Venti del secolo scorso.
In base a tale visione, quando si effettua la misurazione di un parametro quantistico, come lo spin di una particella, dobbiamo aspettarci di osservare uno dei due valori possibili, up e down, con una certa probabilità per ciascuna delle due alternative (ad esempio la stessa probabilità).  

Finché non viene eseguita la misurazione, il sistema permane in una sorta di sovrapposizione di stati, come avviene nel famoso esperimento mentale del gatto di Schrödinger, in cui prima che qualcuno vada ad aprire la gabbia il felino è al tempo stesso vivo e morto.
Secondo l'interpretazione a molti mondi, invece, quando andiamo a misurare lo spin di una innocua e microscopica particella, succede un fatto di proporzioni addirittura cosmiche: la storia dell'universo si biforca (non si sa bene come faccia a farlo) in due, e in ciascuno dei due universi risultanti si verifica un diverso esito della misurazione.

E' facile comprendere il motivo per cui la proposta di Everett abbia sempre incontrato molti ostacoli: il fatto di dover ricorrere all'esistenza di più universi soltanto per evitare l'aspetto probabilistico dell'interpretazione classica (il celebre "Dio che gioca a dadi") è sembrato a molti un postulato troppo ingombrante e difficile da giusticare.
Più precisamente, secondo l'interpretazione di Copenaghen dobbiamo fare i conti con una realtà intrinsecamente indeterminata e aleatoria, mentre nella visione a molti mondi l'indeterminazione si sposta su un piano soggettivo.


Nonostante le difficoltà, l'interpretazione di Everett ha riscosso negli ultimi decenni il favore di molti studiosi, tra i quali il fisico inglese David Deutsch, autore del famoso saggio divulgativo "La trama della realtà".
Secondo Deutsch, il modo migliore di spiegare la meccanica quantistica non è la visione classica della scuola di Copenaghen, ma è proprio l'interpretazione a molti mondi.

Nel racconto di Borges di cui ho parlato all'inizio di questo post, la storia dell'universo si biforca ogni volta che s'è di fronte a diverse alternative; nella teoria di Everett accade esattamente la stessa cosa, cioè la biforcazione avviene ogni volta che un qualsiasi evento che risente di una indeterminazione di tipo quantistico viene osservato.
D'altra parte, l'interpretazione a molti mondi è il corrispettivo scientifico di un topos largamente utilizzato dalla fantascienza e dalla fiction in generale: il tema degli universi paralleli (o alternativi), o, se preferite, del multiverso.
A parte il racconto di Borges, che peraltro anticipava in modo quasi perfetto la visione di Everett, sono innumerevoli gli esempi narrativi di ogni epoca che sono ambientati in un contesto "multiversale": l'esistenza di più realtà o dimensioni parallele costituisce infatti un espediente di formidabile potenza per giustificare intrecci fantastici dagli infiniti risvolti.
Ad esempio, uno scrittore di fantascienza che volesse ammettere la possibilità dei viaggi del tempo, ma desiderasse anche mantenere un certo rigore logico nelle sue trame, si scontrerebbe contro alcuni noti e fastidiosissimi paradossi temporali, e uno degli escamotage più eleganti è rappresentato dal postulare l'esistenza di infiniti universi (chi volesse approfondire questi temi può trovare spunti interessantissimi nel bel saggio di Renato Giovannoli "La scienza della fantascienza", edito da Bompiani nel 2001).
Il tema degli universi paralelli si ritrova anche in moltissimi film, serie televisive, fumetti e cartoni animati, e perfino nei testi di taluni brani di musica rock. Non ci credete? Eccovi allora un brano intitolato "The multiverse" della band canadese Voivod.



E se al destabilizzante metal trash punk preferite le rassicuranti storie di Topolino, eccovi accontentati: sui numeri 2717, 2718, 2719 e 2720 di Natale 2007 usciva una storia a puntate intitolata "Universi pa(pe)ralleli", nella quale Paperino, Paperina, zio Paperone e Paperoga si ritrovano a viaggiare attraverso diverse Paperopoli alternative a bordo di uno strano ipercubo.
In un numero di una ventina d'anni prima, Topolino e Pippo furono protagonisti di una "storia a bivi", nella quale esistono punti di snodo dai quali la storia può proseguire verso più futuri possibili. In una storia a bivi come quella vissuta da Topolino e Pippo, però, ad ogni bivio il lettore deve scegliere una delle vie possibili, scartando le altre: esattamente come Borges diceva delle opere narrative tradizionali (ogni volta che s'è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre), e un po' come avveniva nei libri-gioco che andavano di moda qualche anno fa.
Gli universi pa(pe)ralleli di Paperino, invece, assomigliano molto di più al giardino narrativo descritto da Borges, perché ad ogni bivio non si sceglie una sola delle direzioni possibili, ma ci si decide - simultaneamente - per tutte.
La differenza è fondamentale, proprio come la differenza tra l'interpretazione di Copenaghen e quella dei molti mondi di Everett e Deutsch.



Ma tutto questo cosa c'entra con l'informatica e la computazione?
David Deutsch, oltre ad essere uno dei fisici più favorevoli all'ipotesi del multiverso, è considerato uno dei pionieri del computer quantistico.
Nei computer che utilizziamo oggi, l'informazione viene misurata in bit. Un bit (contrazione di "binary digit", cioè cifra digitale) è l'unità elementare dell'informazione, e corrisponde alla scelta tra due valori possibili (ad esempio, 0 oppure 1). Ogni informazione che viene elaborata dai nostri computer è rappresentata come combinazione di molti zeri e uni, così come ogni numero può essere espresso come sequenza di più cifre.
Ragionando in termini quantistici, nulla ci vieta di immaginare un "bit quantistico", o qubit, cioè un bit che può assumere simultaneamente più valori binari. Dobbiamo immaginare un ipotetico registro corrispondente a un qubit come un contenitore nel quale trovano posto, allo stesso tempo, il valore 0 e il valore 1.
Ad implementare fisicamente il registro potrebbe essere, ad esempio, una particella il cui spin che può assumere un valore up oppure un valore down. Secondo la meccanica quantistica, lo stato quantico della particella permane in uno stato di sovrapposizione fintantoché il registro non viene letto.

Ma cosa accade quando il computer va a leggere il valore memorizzato nel registro-particella? Se aderiamo all'interpretazione a molti mondi, dobbiamo immaginare che l'universo si biforchi in infiniti universi: in alcuni di questi il registro conterrà il valore 0, in altri il valore 1.  Secondo l'interpretazione tradizionale, invece, la lettura del registro farà collassare lo stato quantico secondo un meccanismo probabilistico.

Ovviamente, il numero di universi nei quali, secondo l'interpretazione di Everett, il registro assumerà il valore 0 è strettamente imparentato con la probabilità che, secondo l'interpretazione di Copenaghen, lo stato quantico collassi nel valore 0 al momento della misurazione.

In entrambi i casi, potremmo immaginare il nostro registro da un qubit come una cella di memoria che, prima che venga letta, può assumere valori intermedi tra 0 e 1: più vicino il valore è 0, maggiore è la probabilità che la lettura del registro restituisca il valore 0; o, se preferite, maggiore è il numeri di universi paralleli in cui il registro, dopo la lettura, ha il valore 0.
 
Ma attenzione: non dobbiamo commettere l'errore di immaginare un qubit come una sorta di bit analogico, che può assumere un continuum di valori compresi tra 0 e 1: nell'istante in cui il qubit viene osservato, infatti, esso potrà assumere soltanto il valore 0 oppure il valore 1, e nessun altro valore.
Nelle prossime puntate di questa nuova serie di post dedicati alla computazione quantistica, mi addentrerò più da vicino nel significato del qubit e nei possibili utilizzi di un computer quantistico.
Alla prossima!

venerdì 20 aprile 2012

Come lo scorrere dell'acqua

  - Che cosa mi piace della matematica? - disse Tengo, rivolgendo di nuovo a se stesso la domanda di prima, per distrarre la propria attenzione dalle dita e dal seno della ragazza. - La matematica è come lo scorrere dell'acqua. Naturalmente le teorie sono numerose e abbastanza complicate, ma la logica fondamentale è molto semplice. Come l'acqua che scorre dall'alto verso il basso seguendo il percorso più breve, anche la matematica non ha che un unico flusso. Se lo si osserva a lungo, con attenzione, quel percorso emerge da solo. Basta che ti limiti a guardarlo, senza fare nulla. Se ti concentri e guardi con attenzione, tutto si chiarisce da sè. In questo grande mondo non c'è nessuno che mi tratti con tanta gentilezza, a parte la matematica.
  Fukaeri ci pensò su per un po'.
  - Perché scrive romanzi, - chiese, senza nessun accento nella voce.
  Tengo tradusse la frase in una domanda più lunga.
  - Visto che la matematica per me è così piacevole, perché dovrei sforzarmi di scrivere romanzi? Non farei meglio a occuparmi solo di matematica? E' questo che vorresti sapere?
  Fukaeri annuì.
  - Vediamo... La vita vera è diversa dalla matematica. Nella vita le cose non scorrono scegliendo il percorso più breve. La matematica per me è, come dire, troppo naturale. Assomiglia a un bellissimo paesaggio. Qualcosa che semplicemente sta lì. Non c'è bisogno di sostituire nulla. Nel mondo della matematica, ogni tanto ho la sensazione di stare a poco a poco diventando trasparente. E a volte mi fa paura.
  Fukaeri continuava a guardare in faccia Tengo, senza mai distogliere lo sguardo. Come se spiasse in un appartamento vuoto con il viso incollato al vetro della finestra.
  Tengo disse:
  - Quando scrivo, usando le parole sostituisco il paesaggio che mi circonda con qualcosa che per me è molto più naturale. Cioè lo ricompongo. Solo così riesco ad accertare che questa persona chiamata "io" esiste davvero nel mondo. E' un lavoro molto diverso da quello che faccio quando sono nel mondo della matematica.
  - Verifica che esiste, - disse Fukaeri.
  - Anche se non posso dire di riuscirci ancora bene, - disse Tengo.

(da "1Q84", di Murakami Haruki, Libro 1, Einaudi 2011)

domenica 15 aprile 2012

Carnevale della Matematica #48 su Maddmaths!

In concomitanza con il Mese della Consapevolezza Matematica, organizzato annualmente dalle associazioni americane di matematica, Maddmaths! ci offre una bella edizione del Carnevale della Matematica, con il tema "Matematica, statistica e il diluvio dei dati".
Come sempre, complimenti al curatore Roberto Natalini e a tutti i partecipanti!
Mr. Palomar ha contribuito con due post: il primo, "Se l'arrotondamento non quadra", per la verità pubblicato all'inizio di marzo, quindi più di un mese fa, e tuttavia in tema con l'argomento proposto; il secondo, "La sezione aurea e le regole del giuoco del calcio", al contrario fuori tema ma uscito pochi giorni fa.
Buona lettura a tutti!

sabato 7 aprile 2012

La sezione aurea e le regole del giuoco del calcio


Come tutti gli sport, anche il gioco (anzi, il giuoco, come insegnavano i maestri e i dizionari di qualche decennio fa) del calcio ha le sue regole, codificate in un Regolamento ufficiale costituito da 17 norme principali.
La prima di queste regole si intitola "Il terreno di gioco", e descrive le caratteristiche del rettangolo delimitato dalle linee di porta e dalle linee laterali e nel quale i calciatori possono condurre il gioco.
L'incipit della Regola 1 recita testualmente:

Regola 1: il terreno di giuoco
Dimensioni
Il terreno di giuoco deve essere rettangolare. La lunghezza delle linee laterali deve essere, in ogni caso, superiore alla lunghezza delle linee di porta.
Lunghezza: minimo m. 90 massimo m. 120
Larghezza: minimo m. 45 massimo m. 90
Gare internazionali
Lunghezza: minimo m. 100 massimo m. 110
Larghezza: minimo m. 64 massimo m. 75






Insomma, per incontri non internazionali, secondo le regole ufficiali sarebbe in teoria ammissibile anche un campo lungo, ad esempio, 91 metri e largo 90 (un campo esattamente quadrato con il lato di 90 metri sembrerebbe escluso dalla frase iniziale "Il terreno di giuoco deve essere rettangolare", anche se un quadrato è pur sempre un caso particolare di rettangolo).
Nella maggior parte dei casi, i terreni di gioco (pardon, di giuoco) tendono ad assumere proporzioni "meno quadrate", con lunghezze e larghezze che si pongono circa a metà dei rispettivi intervalli ammessi, cioè intorno a 105 metri per 67,5 metri.

Le indicazioni che il regolamento prescrive per le partite internazionali sono più rigide, ma solitamente sono considerate uno standard de facto anche per gare a livelli più bassi. Analogamente, nel "calcio che conta" viene consigliata o talvolta imposta una misura ben precisa, che, guarda caso, corrisponde quasi esattamente al formato "medio" di cui parlavo poco fa: 105 x 68 metri.
Sono queste, infatti, le dimensioni che la FIFA raccomanda per i tornei internazionali, e che in Italia le Leghe di Serie A e B stabiliscono obbligatoriamente per le partite di campionato (tollerando al limite una dimensione minima di 65 metri per il lato corto, in caso di comprovate difficoltà tecniche dell'impianto).

Se diamo un'occhiata alle dimensioni del terreno di gioco (ops...) dei principali stadi italiano e stranieri, il formato standard 105 x 68 metri la fa da padrone: lo ritroviamo, tanto per fare alcuni esempi, all'Olimpico di Roma e all'Olimpico di Torino, al San Siro di Milano, al San Paolo di Napoli, al Bentegodi di Verona (permettetemi questa piccola menzione campanilistica...), al Campo Nou di Barcellona, al Lužniki di Mosca, allo Stadio del Centenario di Montevideo, all'Azteca di Città del Messico, e moltissimi altri.


Il rapporto tra i lati di un rettangolo 105 x 68 è pari a 105/68 = 1,54412: un valore non molto vicino al rapporto aureo, che è uguale a:


In un rettangolo aureo, il rapporto tra il lato maggiore e quello minore è uguale a quello tra il lato minore e la differenza tra lato maggiore e lato minore.
E' forse superfluo ricordare qui l'importanza che le proporzioni auree hanno rivestito nella storia dell'arte: mi limito a sottolineare che il rettangolo aureo è stato a lungo considerato il rettangolo più armonioso e "bello" da vedere, e non è un caso se lo ritroviamo, ad esempio, nelle comuni carte di pagamento o nei moderni badge aziendali.
E' quindi un vero peccato che gli organismi supremi del calcio non abbiano scelto come standard per i campi di calcio un formato aureo: avrebbero benissimo potuto raccomandare, per esempio, una lunghezza di 110 metri e una larghezza di 68 metri , dimensioni che rientrano nell'intervallo accettato dalla Regola 1 (anche per gare internazionali) e che disegnano un rettangolo quasi perfettamente aureo.
Le dimensioni raccomandate dalla FIFA prevedono un lato lungo troppo corto, o, se preferite, un lato corto troppo lungo.

Fortunatamente non tutti gli stadi sono così ligi rispetto agli standard internazionali, e alcuni presentano dimensioni diverse dal solito rettangolo 105 x 68 metri .
In alcuni di questi, però, il rapporto tra lato lungo e lato corto è ancora meno aureo di quello standard: ad esempio lo Stadio Olimpico di Atene e il mitico Wembley di Londra hanno un rapporto di 1,5 (105 x 70 metri), mentre il leggendario Maracanà di Rio de Janeiro raggiunge addirittura un rapporto di 1,466 (110 x 75 metri).
Uno stadio più vicino alla divina proporzione è il famoso Estadio Monumental di Buenos Aires, utilizzato dal River Plate: il rapporto tra lato lungo e lato corto è di 1,571, ma siamo ancora lontani dal fatidico numero di Fidia.

Un possibile candidato al titolo di stadio più aureo del mondo è il Santiago Bernabeu di Madrid: lo stadio del Real Madrid, dove la Nazionale italiana vinse il campionato del mondo nel 1982.
Purtroppo, le dimensioni esatte del campo madrileno sono piuttosto controverse: la versione inglese di Wikipedia indica 107 × 72 metri, quella spagnola si pronuncia per lo standard 105 x 68 metri, altre fonti propongono 106 x 70 metri.
Il sito dell'UEFA dichiara però che le dimensioni del Santiago Bernabeu sono di 106 x 66 metri: se questa è la versione corretta, il rapporto sarebbe di 1,606, molto vicino alla proporzione aurea.
Credo che, nonostante queste curiose voci discordanti, ai quarantenni come me piaccia pensare che il record di "aureità" spetti di diritto allo stadio di Madrid, quasi a nobilitare ulteriormente il ricordo nostalgico di quella notte di trent'anni fa.

domenica 1 aprile 2012

L‘ultimo post

Non avrei mai desiderato intitolare un mio post come ho fatto con questo. Mr. Palomar chiude i battenti: troppi impegni lavorativi e familiari me lo impongono, purtroppo. Lo comunico ai miei lettori con grande dispiacere e con un po‘ di senso di colpa: auspicavo, per questa bellissima avventura, una vita ben più lunga. Resta il piacere di aver costruito un piccolo spazio di divulgazione scientifica e di avere avuto l'opportunità di conoscere alcuni magnifici compagni di viaggio tra gli altri blogger. Grazie a tutti!

L'ultimo post di Mr. Palomar, anzi no

Sono trascorsi quasi 14 anni da quel Capodanno del 2011, quando Mr. Palomar  vide la luce. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, c...