venerdì 3 luglio 2020

La matematica di Gianni Rodari #8: Quasi-numeri, meravigliardi, fanta-tabelline, unci dunci trinci

Quasi sette anni fa pubblicai un trittico di post: dopo la prima e la seconda parte, l'ultima riportava un celebre e delizioso brano di Rodari, intitolato "A inventare i numeri" e tratto dalle "Favole al telefono":

- Inventiamo dei numeri?
- Inventiamoli, comincio io. Quasi uno, quasi due, quasi tre, quasi quattro, quasi cinque, quasi sei.
- È troppo poco. Senti questi: uno stramilione di biliardoni, un ottone di millantoni, un meravigliardo e un meraviglione.
- Io allora inventerò una tabellina:
   tre per uno Trento e Belluno
   tre per due bistecca di bue
   tre per tre latte e caffè
   tre per quattro cioccolato
   tre per cinque malelingue
   tre per sei patrizi e plebei
   tre per sette torta a fette
   tre per otto piselli e risotto
   tre per nove scarpe nuove
   tre per dieci pasta e ceci.
(...)
 - Allora inventiamo in fretta altri numeri per finire. Li dico io, alla maniera di Modena: unci dunci trinci, quara quarinci, miri miminci, un fan dès.
- E io li dico alla maniera di Roma: unzi donzi tenzi, quale qualinzi, mele melinzi, riffe raffe e dieci.

Il pezzo è interessante perché propone una gustosa collezione di nomi di numeri, ma ogni parte del brano evoca considerazioni diverse dal punto di vista matematico.

I nomi introdotti all'inizio (quasi uno, quasi due, quasi tre, quasi quattro, quasi cinque, quasi sei) mi fanno pensare ai limiti: "quasi uno" mi sembra un modo meravigliosamente naif per indicare una funzione che tende a 1 quando la variabile indipendente si avvicina a un qualche valore. Come dire: quando la variabile indipendente è molto vicina a quel valore, la funzione vale "quasi uno".

La parte successiva, invece, fino a pasta e ceci, suggerisce riflessioni di tutt'altro genere.
Come scrivevo nelle prime due parti del trittico del 2013, dare dei nomi ai numeri è lo scopo principale dei sistemi di numerazione. Non è un esercizio fine a se stesso: è l'essenza del meccanismo che ci permette di contare, usare i numeri in modo efficiente, fare calcoli e avere una matematica che si rispetti.
L'idea del sistema posizionale, concepita già dai Sumeri e perfezionata (con la base decimale) dagli Indiani e dagli Arabi, rappresenta un marchingegno geniale in base al quale ogni possibile quantità intera viene automaticamente associata sia a una sequenza di cifre (scelte da un insieme finito), sia a una parola o in generale un'espressione costituita da parole (che ovviamente varia a seconda delle lingue).
Per esempio, la quantità di anni trascorsi tra la fine della seconda guerra mondiale e oggi viene espressa, nel nostro sistema posizionale in base 10, con la sequenza 75, che significa 7 decine più 5 unità. In base alle convenzioni vigenti nella lingua italiana, la parola corrispondente è "settantacinque".
Per completezza, occorre dire che per alcuni numeri grandi non esiste una sola "espressione" linguistica, ma più possibili espressioni equivalenti: per esempio, 10.000.000.000 possiamo indicarlo con "dieci miliardi" ma anche con "diecimila milioni".
Tutto questo ci può sembrare scontato e banale, ma non lo è. In un racconto di Borges, "Funes, o della memoria", il protagonista inventa un sistema di numerazione in cui ogni quantità è espressa da una parola, ma senza alcuna logica che permetta di automatizzare il meccanismo in modo generale:

In luogo di settemilatredici diceva (per esempio) «Máximo Perez»; in luogo di settemilaquattordici, «La Ferrovia»; altri numeri erano «Luis Melián Lanifur, Olimar, zolfo, il trifoglio, la balena, il gas, la caldaia, Napoleone, Agustín de Vedia». In luogo di cinquecento diceva «nove». 

Come potete immaginare, un sistema del genere non è esattamente semplice da utilizzare. Dal punto di vista narrativo è molto affascinante, ma matematicamente è una pessima idea.
Se però i nomi vengono assegnati sovrapponendoli a un sistema di numerazione vigente, allora il discorso è diverso. Ci sono numeri che hanno uno o più nomi ufficiali (una volta stabilita la lingua) e, in più, una specie di "soprannome": il numero 10 elevato alla 100 può essere denominato in modo ortodosso dicendo "10" e poi concatenando un serie opportunamente lunga di "miliardi di", ma per gli amici è noto anche come "googol".

Cosa possiamo dire allora dei numeri di Rodari? Sullo stramilione di biliardoni, sul meravigliardo e sui loro fratelli, ovviamente, non ha senso farsi troppe domande: il gioco è bello proprio perché non sappiamo, ed è giusto non sapere, se queste strane quantità corrispondano a ben precisi numeri reali.
Rodari stesso parla di "inventare i numeri". Un po' come se fossero quantità che trascendono le categorie numeriche attualmente note, come se si trattasse di estensioni analoghe a quelle ottenute, nel corso della storia, con l'introduzione dei numeri irrazionali, dei numeri negativi, dei numeri immaginari, e così via.
Un fondato sospetto però esiste: che si tratti semplicemente di soprannomi di numeri interi molto grandi, un po' come il fantastilione e il fantastiliardo di Paperon de' Paperoni, su cui avevo scritto qualcosa nella prima parte della trilogia, e su cui Gianluigi Filippelli ha scritto un interessantissimo pezzo due anni e mezzo fa.

La porzione successiva, quella della tabellina del tre alternativa, sembra invece improntata sulla stessa idea stravagante di Borges-Funes. Ovvero: il numero 3 lo chiamo "Trento e Belluno", il numero 6 "Bistecca di bue", il numero 9 "Latte e caffè", e così via.

E per finire, la parte finale sembra una divertita variazione sul tema delle locuzioni regionali dei numeri. I primi tre, unci dunci trinci, mi fanno tornare in mente un brano di Elio e le Storie Tese di qualche anno fa, con il quale concludo questo ottavo episodio della serie sulla matematica rodariana.
A presto!



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