Che cos'è, in definitiva, un sistema di numerazione, se non un modo di dare dei nomi ai numeri?
Secondo
un approccio "platonico", i numeri sono concetti astratti che
esistono anche "prima" e indipendentemente dalle modalità attraverso le quali li
possiamo denotare, ad esempio le parole con cui li nominiamo. Nulla ci vieta, quindi, di inventarci maniere diverse, e magari bizzarre,
per denominarli.
Inevitabilmente, esistono sistemi più o meno buoni.
In un certo senso,
il sistema più semplice consiste nel partire dal più piccolo dei
numeri naturali e salire gradualmente lungo l'infinita sequenza, attribuendo a ciascuno di loro un nome di fantasia.
In un celebre
racconto di Jorge Luis Borges (sempre lui), "Funes, o della memoria",
incluso nella raccolta "Finzioni", il bizzarro protagonista si inventa
un sistema di questo tipo:
«Dall’oscurità, Funes continuava a parlare. Mi disse che verso il
1886 aveva scoperto un sistema originale di numerazione e in pochi
giorni aveva superato il ventiquattromila. Non l’aveva scritto, perché
d’averlo pensato una sola volta gli bastava per sempre. Il primo
stimolo, credo, gli venne dallo scontento che per il 33 in cifre arabe
ci volessero due segni e due parole, in luogo di una sola parola e di un
solo segno. Applicò subito questo stravagante principio agli altri
numeri. In luogo di settemilatredici diceva (per esempio) «Máximo
Perez»; in luogo di settemilaquattordici, «La Ferrovia»; altri numeri
erano «Luis Melián Lanifur, Olimar, zolfo, il trifoglio, la balena, il
gas, la caldaia, Napoleone, Agustín de Vedia». In luogo di cinquecento
diceva «nove». A ogni parola corrispondeva un segno particolare, una
specie di marchio; gli ultimi erano molto complicati… cercai di
spiegargli che questa rapsodia di voci sconnesse era precisamente il
contrario di un sistema di numerazione. Gli feci osservare che dire 365 è
dire tre centinaia, sei decine, cinque unità: analisi che non è
possibile con «numeri» come «Il Negro Timoteo»; o «Mantello di carne».
Funes non mi sentì o non volle sentirmi.»
Un sistema di numerazione di questo genere è "semplice" nel senso
che non richiede conoscenze aritmetiche di alcun tipo, ma, ovviamente,
ha il grave inconveniente che, come lo stesso Borges osservava, Funes doveva imparare a memoria una enorme quantità di nomi. Inoltre, manca del tutto un criterio razionale per regolamentare la formazione delle parole o dei simboli che indicano i numeri.
Non è però detto che l'adozione di un meccanismo sistematico per attribuire i nomi possa garantire che il sistema di numerazione sia ottimale.
Il sistema inventato dai Romani, ad esempio, era rigoroso, prevedeva una codifica univoca di ogni numero e non richiedeva la memorizzazione di innumerevoli simboli, ma aveva una serie di magagne.
Trascuriamo pure il fatto che il sistema non era in grado di esprimere lo zero, i numeri negativi, i numeri non interi, e che le operazioni aritmetiche ai tempi di Giulio Cesare erano estremamente ardue; ma il difetto che vorrei qui sottolineare era che il sistema romano non permetteva di esprimere tutti i numeri.
I nostri progenitori latini avevano infatti escogitato alcuni trucchi per indicare quantità grandi (ad esempio una barra sopra un numero significava che il numero doveva essere moltiplicato per 1000), ma prima o poi si incontrava inevitabilmente un limite.
L'avvento dei sistemi di numerazione posizionale risolse per fortuna questi problemi, introducendo un meccanismo ottimale in grado di attribuire un simbolo a tutti i numeri, indipendentemente dalla loro grandezza. Nel sistema decimale, ad esempio, bastano dieci simboli per poter ottenere tutte le quantità intere (con opportuni accorgimenti si costruiscono poi anche i numeri negativi e frazionari).
Il passaggio dal simbolo numerico alla corrispondente parola è poi una questione "interna" della lingua che si desidera utilizzare, ma solitamente si tratta di una conversione quasi automatica. Così come al sistema numerico sono sufficienti dieci simboli, alla "macchina" linguistica, per tradurre il simbolo in parola, bastano pochi "nomi primitivi" (cioè non derivati) e alcune regole più o meno rigorose per combinare nomi e costruirne di nuovi. In italiano, tanto per fare un esempio, non mi pare esistano altri "nomi primitivi" oltre a quelli dei numeri da zero a dieci, al "venti", al "cento", al "mille", al "milione" e al "miliardo".
Cosa? Qualcuno obietta che ne ho dimenticato uno? Ah, dev'essere la voce di Paperon de' Paperoni che ci ricorda l'esistenza del "fantastiliardo"!
Zio Paperone non ha tutti i torti. Come sanno bene tutti gli appassionati di storie Disney, la parola "fantastiliardo" viene spesso utilizzata per indicare un numero molto grande, solitamente riferito ai dollaroni dell'amato ziastro. Ricordo che da bambino, avido lettore di "Topolino" qual ero, mi domandai spesso a cosa corrispondesse esattamente un fantastiliardo.
Ebbene, pare che qualcuno abbia affrontato la delicata questione in modo scientifico, basandosi su accurate analisi filologiche, e sia giunto ad una conclusione molto precisa. Sembra che il termine sia stato utilizzato per la prima volta nel 1961, nel numero 6 dei Classici di Walt Disney, nel prologo a "Il miliardo": in questa storia si parla di 30 fantastiliardi, e tale quantità viene scritta come 30 seguito da 80 zeri.
Quindi, ci sentiamo autorizzati a concludere che un fantastiliardo corrisponde a 10 elevato alla 80.
Contento, Paperone? Sappi, però, caro zione, che esiste un numero un pochino più grande del tuo amato fantastiliardo, del quale parlerò nella seconda parte di questo duplice post; e la parola che nel 1938 (quando tu non eri stato ancora disegnato) è stata introdotta per indicare questo numero ha, in un certo senso, reso due ragazzi miliardari. Anzi, fantastiliardari.
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Aspetto la seconda parte dopo aver gustato questa prima; anche perché l'indicazione finale promette bene.
RispondiEliminaIeri ho letto "ZP e la disfida dei dollari". Nella prima pagina si dice che la fortuna dello zione si calcola in "ultradecicentrifugililioni" di dollari. Qualche pagina dopo si parla di "ultradecifantastiliardi" di dollari. Le variati sul tema sono... innumerevoli.
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