D'altra parte, questo non è l'unico caso di nome "ufficioso" utilizzabile per indicare un numero.
Anche escludendo taluni casi speciali di numeri non interi, ad esempio π, e, φ, e così via, sono almeno tre i numeri che meritano una particolare menzione in questo senso.
Ma andiamo per ordine. In un giorno del 1938, il matematico americano Edward Kasner, docente alla Columbia University, porta i suoi due nipotini, Edwin e Milton, a fare una passeggiata al parco delle New Jersey's Palisades, vicino a New York.
Kasner ha bisogno di un nome simpatico per un numero che ha in mente, e del quale vuole parlare nel libro che sta scrivendo: un numero davvero enorme, corrispondente a 10 elevato alla 100, cioè 1 seguito da 100 zeri. In termini ufficiali: 10 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi
di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi!
Un numero più grande del fantastiliardo, quindi: solo che in quel lontano 1938 Paperon de' Paperoni non era ancora nato, e quindi non esistevano nemmeno i fantastiliardi.
Lo zio Edward chiede ai nipotini se hanno qualche nome da suggerire. Il piccolo Milton, di nove anni, propone il primo nome che gli salta in mente: googol.
Allo zio questa parola piace subito, e decide di utilizzarla nel suo libro. Ma, si sa, l'appetito vien mangiando, e subito dopo Kasner si inventa un numero ancora più grande: 10 elevato a un googol, cioè 1 seguito da un numero di zeri pari a un googol, e decide di chiamarlo googolplex.
Il googolplex è un numero molto più grande del googol: è praticamente impossibile non soltanto immaginarlo, ma perfino scriverlo, perché in tutto l’universo non ci sarebbe abbastanza spazio per scrivere tutte le sue cifre!
Il googolplex è un numero molto più grande del googol: è praticamente impossibile non soltanto immaginarlo, ma perfino scriverlo, perché in tutto l’universo non ci sarebbe abbastanza spazio per scrivere tutte le sue cifre!
Facciamo un salto dalla East Coast alla West Coast, e dal 1938 al 1997: in un'aula della Stanford University, due studenti ventiquattrenni di informatica, Larry Page e Sergey Brin, stanno discutendo con altri compagni sul progetto di un nuovo motore di ricerca, basato su caratteristiche molto innovative. Il nome provvisorio del software è "BackRub", ma i due vorrebbero un nome più accattivante, che evochi l’immensità della rete che il motore di ricerca è in grado di esplorare.
Uno degli studenti presenti alla riunione, Sean Anderson, si ricorda a un tratto del libro di Edward Kasner, e suggerisce il nome "Googolplex”. L’idea conquista Page e Brin, ma non del tutto: alla fine si opta per il fratello minore, cioè "Googol" (il nome "Googolplex" verrà poi adottato per indicare il quartier generale dell'azienda, a Mountain View).
Uno degli studenti presenti alla riunione, Sean Anderson, si ricorda a un tratto del libro di Edward Kasner, e suggerisce il nome "Googolplex”. L’idea conquista Page e Brin, ma non del tutto: alla fine si opta per il fratello minore, cioè "Googol" (il nome "Googolplex" verrà poi adottato per indicare il quartier generale dell'azienda, a Mountain View).
Anderson viene incaricato di andare a registrare il dominio, ma al momento di compilare il modulo di registrazione commette un errore di ortografia, digitando "google.com" anziché "googol.com".
Nacque così, per un felice errore, il nome del motore di ricerca più famoso del mondo, nonché il sito più visitato dell’intera rete: dietro questa parola si nasconde quindi il fascino di un numero grandissimo, al tempo stesso vicino e lontano dall’infinito. E, come accennavo alla fine della prima parte del post, mi piace pensare che la fortuna commerciale conseguita da Page e Brin debba molto anche a questa parola, scaturita dalla felice intuizione di un bambino di nove anni in gita con lo zio.
(Certo, i due bravi ragazzi californiani non sono diventati proprio fantastiliardari, prerogativa riservata a zio Paperone, ma miliardari decisamente sì).
(Certo, i due bravi ragazzi californiani non sono diventati proprio fantastiliardari, prerogativa riservata a zio Paperone, ma miliardari decisamente sì).
Googol e googolplex sono quindi, come fantastiliardo, esempi di nomi (o soprannomi) non ufficiali di numeri.
Si possono costruire numeri più grandi del googol o del googolplex? Ovviamente sì.
Un esempio famoso, al quale è stato ovviamente attribuito un altro suggestivo nomignolo, è il megistone.
Questo numero è mostruosamente gigantesco, immensamente maggiore di qualsiasi fantastiliardo, googol o googolplex che possiate immaginare. Come si costruisce un megistone?
Presto detto: prendiamo un numero n elevato alla potenza di se stesso, cioè nn, e indichiamolo come n dentro un triangolo:Poi prendiamo questo numero che abbiamo ottenuto, ed eleviamolo alla potenza di se stesso: ma ripetiamo questo elevamento a potenza tante volte quanto indicato dal numero stesso, e indichiamo il risultato come n dentro un quadrato:
Ora ripetiamo la stessa operazione, cioè prendiamo il numero ottenuto fin qui ed eleviamolo alla potenza di se stesso tante volte quanto indicato dal numero stesso, e indichiamo il risultato come n dentro un cerchio:
Siamo arrivati in fondo: se poniamo n=10, il numero ⑩ è il megistone. Se anziché un 10 mettiamo dentro un cerchio un 2, otteniamo un numero un po' più piccolo ma comunque gigantesco, chiamato mega.
Non siete ancora contenti? Volete salire ancora più in alto con l'ascensore dei numeri naturali, fino a quasi sfiorare il cielo dell'infinito (peraltro irraggiungibile, come potete immaginare)?
Bene, beccatevi allora un numero inconcepibilmente grande che dal 1980 vanta una menzione sul Guinness dei Primati: il numero di Graham, così chiamato in onore del matematico americano Ronald Graham.
Per costruirlo, viene di solito utilizzata una particolare notazione a frecce inventata dal celebre scienziato informatico Donald Knuth.
Il simbolo a↑x indica un semplice elevamento a potenza, cioè a elevato alla potenza di x.
Il simbolo a↑↑x indica invece una tetrazione o potenza ricorsiva, cioè a elevato x volte alla potenza di a stesso:
Ad esempio, per calcolare 2↑↑3 occorre calcolare una prima volta 2 elevato alla 2; il risultato 4 viene quindi usato come esponente ancora per la base 2, ottenendo 16.
Il simbolo a↑↑↑x indica poi una tetrazione ricorsiva, cioè una ripetizione di una ripetizione di una potenza, e così via.
A questo punto possiamo costruire il numero di Graham G. Il formalismo seguente sintetizza il procedimento:
Il primo passo (corrispondente al “primo piano” della “torre” illustrata sopra) consiste nel calcolare il numero 3↑↑↑↑3, già di per sé spaventosamente grande, molto più del megistone.
E siamo solo al primo piano, cioè al primo passo del calcolo del numero di Graham: il numero computato al piano immediatamente sovrastante è ancora del tipo 3↑…↑3, ma il numero di frecce corrisponde all’immenso numero calcolato al piano di sotto.
Avete il capogiro? Io sì. E siamo solo al secondo piano.
I piani successivi non fanno altro che ripetere l’operazione, con il risultato che il fatidico numero di Graham che ci ritroveremo al sessantaquattresimo piano sarà una creatura che definire mostruosa è decisamente insufficiente.
Il numero di Graham è il numero più grande al quale sia stato dato un nome (non ufficiale). Perché ha meritato questo onore? Perché questo mostro aritmetico salta fuori dalla dimostrazione di un teorema di teoria di grafi: in un ipercubo di n dimensioni uniamo tutti i vertici tra loro, senza tralasciare alcuno dei possibili collegamenti, e poi coloriamo ogni spigolo di rosso o di blu, a caso. Il teorema in questione afferma che, se n è grande almeno quanto il numero di Graham, allora da qualche parte nell'ipercubo colorato ritroveremo certamente 4 vertici sullo stesso piano, colorati con lo stesso colore e collegati tra loro in modo completo.
Questo non significa che non esistano numeri più grandi, è ovvio.
Banalmente, basta aggiungere uno al numero di Graham per ottenere un numero più grande. Oppure possiamo usare un numero più grande di 3 come ingrediente base, o ancora usare 100 piani anziché 64, e così via.
Il numero di Graham, in definitiva, non è nulla in confronto all'infinito, come ci suggerisce l'indimenticato Cesare Zavattini.
Nel suo libro "Parliamo tanto di me" del 1931, lo sceneggiatore e giornalista racconta ironicamente una gara in cui vince chi pronuncia il numero più grande:
"Un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi …", proseguendo così finché l’ultimo fievole "…di miliardi" gli uscì dalle labbra con un sospiro, quindi si abbatté sfinito sulla sedia, fra il delirio della folla che riempiva il salone in cui si svolgeva la Gara. Ma quando il principe Ottone stava per appuntargli la medaglia sul petto ecco spuntare il temuto avversario, Gianni Binacchi, che con un urlo, "Più uno!", gli rubò il primato”.
Il nostro protagonista, affranto, tornò a casa e si buttò singhiozzando fra le braccia della moglie che lo attendeva sulla porta: "Se avessi detto più due avrei vinto io".
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