domenica 28 ottobre 2012

Pitagora e il cerchio che non si chiude

Come scrive il fisico Andrea Frova nel suo bel libro "Armonia celeste e dodecafonia" (Rizzoli, 2006), "in un'ottava si hanno infinite frequenze e in linea di principio si potrebbe far musica usandole tutte. Per varie ragioni - se non altro per il fatto che un gran numero di strumenti sono a note fisse - occorre porsi il problema di suddividere l'ottava in un certo numero di gradi discreti."
Questa esigenza fu sentita già dai Greci, e nel post "Pitagora e la scoperta della musica", avevo mostrato come il filosofo di Samo, procedendo per intervalli di quinta, caratterizzati quindi da un rapporto di 3/2 tra le altezze delle due note, aveva costruito una scala di sette suoni diversi, che abbiamo battezzato con i nomi delle note musicali: do, re, mi, fa, sol, la, si.

Nel corso del procedimento, sfruttando il fatto che l'intervallo di ottava è caratterizzato da un rapporto di 2:1 tra le altezze delle due note, Pitagora aveva diviso più volte le altezze ottenute per 2, allo scopo di riportare i suoni via via costruiti all'interno di una unica ottava. La scala risultante conteneva così le note che vanno dal do1 al do2.
La quinta e l'ottava sono quindi i due intervalli fondamentali nella costruzione della scala pitagorica. Un altro intervallo che emerge da questo schema è quello di quarta, caratterizzato da un rapporto di 4:3. Questo intervallo lo troviamo ad esempio tra il primo e il quarto grado della scala (nel nostro esempio basato sul do, tra do1 e fa1), oppure tra il quinto e l'ottavo (tra sol1 e do2), e in generale tra due note qualsiasi separate da quattro gradi.
Perché Pitagora si basò sugli intervalli di quinta e di ottava (e conseguentemente, di quarta) per costruire la sua scala? Evidentemente perché già nella tradizione musicale greca questi intervalli erano considerati consonanti, cioè era ritenuta piacevole la sensazione che si provava nell'ascoltare simultaneamente due note separate tra loro da uno di questi intervalli.  Basando la costruzione della scala su questi intervalli, Pitagora voleva far sì che suonando insieme più note della scala l'effetto uditivo fosse gradevole.
La grande scoperta che Pitagora ritenne di avere compiuto era la corrispondenza tra la sensazione di consonanza tra note e i rapporti numerici semplici tra le altezze delle note stesse.

I numeri coinvolti nei rapporti che caratterizzano i tre intervalli di ottava, quinta e quarta (2:1, 3:2; 4:3) sono infatti semplicemente i primi quattro numeri naturali: 1, 2, 3 e 4.  Questo non può far pensare alla cosidetta tetraktýs, il "quartetto" sacro che veniva rappresentato graficamente sotto forma di triangolo equilatero di lato quattro e che riconduceva alla somma magica 1+2+3+4 = 10.
All'interno della setta pitagorica, l'importanza di questo simbolo era tale che su di essa i discepoli prestavano giuramento e la scuola stessa era intitolata al sacro triangolo.
I quattro livelli venivano collegati ai quattro elementi che i presocratici consideravano i principi cosmici fondamentali: Fuoco, Aria, Acqua, Terra.

La connotazione religiosa di questo simbolo triangolare non era limitata ai pitagorici, ma si ritrova anche in molti culti orientali.
Vale la pena ricordare anche come il triangolo sacro ai pitagorici sia strettamente collegato ad un quadrato latino come quello indicato nella figura a fianco: oltre ad essere un quadrato latino, cioè ad avere su ogni riga e su ogni colonna tutti i numeri da 1 a 4, è anche simile ad un quadrato magico, perché la somma dei numeri su ogni riga, su ogni colonna e su ciascuna delle due diagonali dà come risultato 10 (a rigore, non si tratta di un vero quadrato magico perché le cifre utilizzate non sono distinte, ma ognuna si ripete quattro volte).

Ma torniamo alla scala musicale pitagorica. In "Pitagora e la scoperta della musica" avevo osservato che le note della scala risultano disposte in modo piuttosto uniforme. Ciò equivale a dire che gli intervalli tra due note consecutive sono di due soli tipi: il tono, che corrisponde al rapporto 9:8, e la limma, che corrisponde al rapporto 256:243.
Per sommare tra loro due intervalli è necessario moltiplicare tra loro i rapporti corrispondenti ai due intervalli: ad esempio, un intervallo pari a due limme corrisponde al rapporto (256:243) x (256:243) ≈ 1,1099, che è diverso dal rapporto associato al tono, pari a 9/8 ≈ 1,125.

Per poter trattare gli intervalli mediante addizioni anziché moltiplicazioni, qualcuno (precisamente il matematico inglese Alexander Ellis nel 1885) ha pensato di usare i logaritmi, dato che il logaritmo del prodotto di due numeri è uguale alla somma dei rispettivi logaritmi. Introducendo una unità chiamata cent, e fissando convenzionalmente a 1200 cent l'ampiezza di una ottava, il numero di cent legato a un certo intervallo è uguale a 1200 * log2R, dove R è il rapporto corrispondente all'intervallo considerato.
In questo modo, si ottiene che il tono è pari a 1200 * log2(9/8) ≈ 203,91 cent e la limma è pari a 1200 * log2(256:243) ≈ 90,22 cent. Il fatto che un intervallo di un tono non eguagli un intervallo di due limme si traduce a questo punto nel fatto che i 203,91 cent che formano un tono non sono il doppio dei 90,22 cent della limma.
La definizione logaritmica degli intervalli musicali è più facile da comprendere, in quanto consente di comporre gli intervalli in modo additivo anziché moltiplicativo. Ma non è questo l'unico motivo per preferire i cent ai rapporti: la nostra percezione delle altezze sonore è approssimativamente logaritmica, allo stesso modo della risposta del nostro orecchio alle intensità sonore.

Mi piace allora riproporre l'ultima tabellina del post "Pitagora e la scoperta della musica" esprimendo gli intervalli non solo come rapporti ma anche con l'indicazione (approssimata) dei cent.
Come si vede dalla tabella, una quinta corrisponde a circa 702 cent, e una quarta a circa 498 cent.


NOTE
do1
re1
mi1
fa1
sol1
la1
si1
do2
RAPPORTI
1
9:8 = 1,125
81:64 = 1,266
4:3 = 1,333
3:2 = 1,5
27:16 = 1,687
243:128 = 1,898
2:1 = 2
CENT
0
203,91
407,82
498,04
701,95
905,86
1109,77
1200






Scrivevo poco fa che due limme non fanno esattamente un tono. Due limme equivalgono a circa 180,44 cent, e la differenza dai circa 203,91 che compongono un tono equivale approssimativamente a 23,47 cent: questo intervallo, percepibile da un orecchio musicalmente sensibile, viene detto comma pitagorico.
Questo errore è lo stesso che si ottiene ad esempio salendo di dodici quinte e scendendo poi di sette ottave.
Infatti, secondo il sistema pitagorico, dodici quinte equivalgono a 12*701,95 = 8423,4 cent, mentre sette ottave sono 7 * 1200 = 8400 cent: ritroviamo come differenza quei 23,4 cent che costituiscono il comma pitagorico.
In sostanza, non riusciamo a chiudere il cerchio delle quinte, almeno dopo 12 passi.
Forse ce la possiamo fare con un numero più alto di passi? Ad esempio, intorno al 40 a.C. il cinese King Fang si accorse che un intervallo di 53 quinte è molto vicino ad un intervallo di 31 ottave: ma anche in questo caso si ha un errore, pari a 53*701,95 - 31*1200 = 37203,35 - 37200 = 3,35 cent.
In generale, il cerchio non si chiuderà mai, semplicemente perché non esistono due numeri interi m e n tali per cui:
Più che un cerchio delle quinte, quindi, nella scala pitagorica abbiamo una "spirale delle quinte", che non si chiude mai in entrambe le direzioni.
Se fissiamo m=1 e risolviamo l'equazione precedente in n, otteniamo n = log23 - 1 ≈ 0,585, che è ovviamente un numero irrazionale: curiosamente il grande incubo di Pitagora, l'esistenza dei numeri irrazionali, è alla base del fenomeno del comma, cioè del principale difetto della sua scala musicale.

Il perfido comma pitagorico salta fuori ovunque quando si analizza la scala del filosofo di Samo. Torniamo al famoso cerchio delle quinte che abbiamo usato per costruire la scala: di quinta in quinta avevamo attraversato le note fa, do, sol, re, la, mi e si. Partendo dal si e procedendo ancora per quinte, si cominciano a toccare delle note che i musicisti chiamano di solito "accidentate", cioè le note con il segno del diesis.
Dopo il si, otteniamo una nota compresa tra il fa e il sol, che chiamiamo fa# (fa diesis); poi, successivamente, otteniamo do#, sol#, re#, la#, mi#, e così via.
Ma facciamo i conti per vedere cosa succede di preciso. Se aggiungiamo i 701,95 cent tipici di una quinta ai 1109,77 cent del si1, abbiamo 1811,77 cent. Sottraendo 1200 cent per scendere di un'ottava, otteniamo una nota di 611,77 cent, che si trova tra il fa e il sol e chiamiamo quindi fa#.  Precisamente, l'intervallo tra il fa e il fa# è pari a 113,73 cent, che non è la stessa cosa dei 90,22 cent che caratterizzano la limma.
Qual è la differenza tra i due intervalli? Guarda un po', sono sempre quei 23 cent che formano il famigerato comma pitagorico.
La morale della favola è che la limma interviene nella scala pitagorica come intervallo di separazione tra note che formano la scala stessa, ad esempio tra mi e fa e tra si e do, e per questo viene chiamata anche "semitono diatonico".  Invece,  gli intervalli tra una nota e la propria versione alterata con un diesis (ad esempio tra fa e fa#, oppure tra do e do#) sono più grandi, e vengono detti "semitoni cromatici".
La differenza tra i due tipi di semitoni è uguale a un comma pitagorico.

Lo stesso intervallo che esiste tra una nota e la propria versione con diesis lo ritroviamo, a ritroso, tra la nota stessa e la propria versione alterata con un bemolle. Ad esempio, tra un solb e un sol abbiamo un intervallo pari a un semitono cromatico, cioè 113,73 cent.  La nota solb, in particolare, corrisponde a 588,22 cent.
Cosa comporta questo fatto? Ad esempio, che solb e fa# non sono la stessa nota (588,22 cent 611,77 cent), e in particolare il fa# risulta più acuto del solb.  Ancora una volta, l'intervallo tra le due note è pari a un comma pitagorico.
La scala pitagorica con diesis e bemolli, quindi, richiederebbe 21 note, disposte nell'ordine seguente:
dob-si, reb-do#, re, mib-re#, fab-mi, fa-mi#, solb-fa#, sol, lab-sol#, la, sib-la#, dob-si.
E' come se sulla tastiera di un pianoforte, venissero sdoppiati non soltanto tutti i tasti neri, che come è noto corrispondono alle note alterate, ma anche i tasti bianchi che distano di un semitono: complicatissime tastiere "enarmoniche" di questo tipo vennero realmente costruite nel Cinquecento, come illustrato nella figura sopra.

3 commenti:

  1. Molto bello. Posso sperare in un post in cui si parla anche di temperamento naturale e temperamento equabile?

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  2. Certamente: la storia è appena all'inizio, molte nuove puntate arriveranno, nelle settimane future.

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  3. Io la invito a continuare, davvero.

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