Isaac Newton (1642-1727) |
Esiste un altro legame tra Treviso e la scienza: o forse una storia di attrazione fatale. Al centro della vicenda c'è una delle più grandi menti di ogni epoca: il matematico e fisico inglese Isaac Newton. Che cosa c'entra il padre dell'analisi infinitesimale e della meccanica classica con la città di Giovanni Comisso e di Altan?
Il frontespizio dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton |
Il 5 luglio 1687 Newton pubblicò i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica: un trattato monumentale suddiviso in tre libri, che costituisce una delle più alte vette del pensiero scientifico di tutti i tempi. Con quest'opera il genio britannico enunciava, in un colpo solo, tre teorie di enorme importanza (ne sarebbe bastata anche una soltanto per attribuire fama imperitura al suo autore): le tre leggi della dinamica classica, la legge di gravitazione universale e le fondamenta di una nuova matematica, il calcolo infinitesimale.
In particolare, questa branca della matematica introduceva il concetto di variazione infinitesima, cioè piccolissima, di una grandezza. Negli stessi anni in cui Newton gettò le basi di questa teoria, anche un altro grande pensatore, il tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz, ebbe un'intuizione equivalente: ciò avrebbe dato origine, negli anni successivi, a una delle dispute di paternità più feroci della storia della scienza.
Grazie al calcolo infinitesimale, comprendente il cosiddetto calcolo differenziale e il calcolo integrale, gli scienziati furono finalmente in grado di descrivere in modo più preciso fenomeni fisici che in precedenza erano sfuggiti a una rappresentazione quantitativa rigorosa. La stessa dinamica newtoniana e la teoria della gravitazione si basavano sui concetti di questa matematica nuova. Nei secoli successivi il calcolo infinitesimale si sviluppò moltissimo, fino a diventare oggi il pilastro fondamentale che sostiene tutte le discipline scientifiche e ingegneristiche.
Jacopo Riccati (1676-1754) |
Con la nascita del calcolo infinitesimale, nacque in particolare un nuovo tipo di problema matematico: la risoluzione di equazioni differenziali. In un'equazione differenziale l'incognita da determinare è una funzione, che compare nell'equazione stessa anche sotto forma di sue derivate.
Riccati fu uno dei pionieri di questo settore e il suo nome venne legato a una particolare equazione differenziale da lui studiata, oggi centrale nella fisica quantistica e nell’automazione: si tratta di un'equazione differenziale ordinaria quadratica nella funzione incognita, ovvero del tipo
Riccati è famoso anche per la sua indole riservata, causa primaria di alcuni clamorosi "grandi rifiuti". Per esempio l’università di Padova gli propose una cattedra come professore di matematica, ma lui declinò l'offerta. Da Vienna gli giunse la nomina a Consigliere Aulico presso la corte imperiale, ma lui oppose un nuovo rifiuto. Lo zar Pietro il Grande gli offrì addirittura la presidenza dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Pietroburgo, ma ancora Riccati preferì non allontanarsi dal Veneto.
Il frontespizio del trattato Opticks pubblicato nel 1704 da Isaac Newton |
Se Riccati era un newtoniano convinto, un altro aristocratico trevigiano dell’epoca, Giovanni Rizzetti, architetto, matematico e fisico nato a Castelfranco Veneto nel 1675, ne era un fiero detrattore. In particolare Rizzetti compì, a partire dal 1716, una serie di esperimenti di ottica i cui risultati erano decisamente in contrasto rispetto a quelli riportati dal grande scienziato inglese nel suo trattato Opticks del 1704.
La celebre copertina di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd (1973) |
Già, proprio il fenomeno raffigurato nella celebre copertina dell’album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
Le conclusioni antinewtoniane di Rizzetti trovarono sostegno presso alcuni autorevoli scienziati del tempo, tra i quali Nicolaus Bernoulli e lo stesso Jacopo Riccati. L'orientamento dominante della comunità scientifica del tempo era però a favore della dottrina newtoniana: non stupisce quindi che molti intellettuali criticarono il trevigiano e lo tacciarono di arroganza per aver osato dissentire dal grande fisico britannico. A un certo punto lo stesso Newton venne a conoscenza di questo attacco alle sue teorie: convinto che si trattasse di un complotto ordito intenzionalmente contro di lui, bollò i suoi autori, Rizzetti in primis, come “amici del signor Leibniz” (il riferimento era all'odiato pensatore tedesco con il quale era in corso la controversia per la paternità del calcolo infinitesimale).
Francesco Algarotti (1712-1764) |
Convinto che le teorie antinewtoniane di Rizzetti fossero errate, Algarotti si propose di smontarle in pubbliche dimostrazioni. In particolare, il giovane veneziano si diceva d'accordo con la tesi sostenuta dallo scienziato inglese John Theophilus Desaguliers, già assistente di Newton, secondo la quale Rizzetti aveva ottenuto risultati fallaci perché aveva utilizzato prismi fabbricati a Venezia, molto peggiori di quelli provenienti dall'Inghilterra. Tra i sostenitori di Rizzetti si diffuse allora uno slogan ironico: “Le teorie di Newton funzionano solo con i prismi inglesi”.
Ma probabilmente Desaguliers e Algarotti erano nel giusto ed effettivamente i prismi veneziani erano di qualità molto inferiore a quelli di oltremanica.
Frontespizio del saggio di Algarotti Il newtonianesimo per le dame |
Incoraggiato proprio da questo lungo litigio, Algarotti decise di scrivere un saggio per diffondere e sostenere le idee di Newton e dileggiare Rizzetti, e lo pubblicò nel 1737 con il titolo Il newtonianesimo per le dame ovvero Dialoghi sopra la luce e i colori: in esso le teorie del grande scienziato inglese vengono esposte sotto forma di una conversazione salottiera che si svolge in una località del lago di Garda tra una marchesa e un suo corteggiatore.
Nonostante il suo stile lezioso e sdolcinato (la forza di gravità viene paragonata alla passione amorosa, che si affievolisce con la lontananza), il libro riscosse un grandissimo successo in tutta Europa. In un periodo nel quale dominava l'entusiasmo quasi fanatico per le teorie newtoniane, uno dei pochi intellettuali e restarne immune fu, curiosamente, proprio Jacopo Riccati, che pure era stato tra i primi divulgatori dell'opera del grande inglese. Scrisse il matematico trevigiano:
"So bene che al giorno d'oggi molti Valentuomini si affaticano a gara per illustrare la Fisica Neutoniana; e ci è stato chi ha preteso di renderla familiare per fino alle Dame; ed io non defraudando della debita lode gli sforzi altrui, sono persuaso, che molto ci sia da delucidare, e qualche cosa forse da correggere."
Rizzetti reagì agli attacchi di Algarotti giustificandolo sarcasticamente ("Si vede che questa opposizione è da giovane"), e pubblicando nel 1741 il Saggio dell’Antinewtonianismo sopra le leggi del moto e dei colori, dove prese le distanze non soltanto dall'ottica, ma anche dalla dinamica newtoniana.
Catherine Barton (1679-1739) |
Catherine Barton era la seconda figlia di Robert Barton e della sua seconda moglie, Hannah Smith, sorellastra dello scienziato.
Era una donna molto bella, intelligente e brillante nella conversazione. Pare che molti intellettuali, tra cui Voltaire e Jonathan Swift, si fossero innamorati di lei.
Sposò in prime nozze il conte e poeta Charles Montagu e nel 1717 il politico John Conduitt, e accudì lo zio Isaac negli ultimi anni della sua vita.
La donna aveva 55 anni quando fu avvicinata dal ventiduenne Francesco Algarotti nel corso di uno dei suoi soggiorni londinesi.
È probabile che il nobile veneziano mise a frutto le sue famose doti di seduttore e in cambio convinse la dama a regalargli tre prismi a sezione triangolare che Newton aveva utilizzato per i suoi celebri esperimenti di ottica. Probabilmente furono proprio questi i prismi con i quali Algarotti poté ripetere pubblicamente gli esperimenti di Rizzetti e replicare i risultati di Newton, confutando definitivamente le tesi del trevigiano.
Alla morte di Algarotti gli strumenti entrarono a far parte del fondo dei manoscritti dell’erudito veneziano; nel 1879 furono acquistati dall’abate trevigiano Luigi Bailo, punto di riferimento della cultura della sua città alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, e a lungo direttore della Biblioteca Comunale e del Museo Civico.
Questi tre prismi sono conservati ora proprio nel Museo Civico di Treviso, intitolato a Bailo.
Ecco la conclusione della storia che lega Sir Isaac Newton alla città di Treviso. La cassetta di legno che custodisce i tre prismi riporta l’iscrizione “I. N. P. F. A. 1734”, ovvero “Isaac Newton Present Francesco Algarotti”, che ricorda l’incontro tra Algarotti e Catherine Barton.
Insomma, se nella loro città sono custoditi tre reliquie newtoniane così preziose, i trevigiani devono ringraziare, oltre a Bailo, anche il dotto Riccati, che creò nella Repubblica di Venezia dell’epoca un contesto scientificamente al passo coi tempi, il polemico Rizzetti, che attirò sulla questione newtoniana l’attenzione di molti, e soprattutto il brillante Algarotti, che spinto dal desiderio di mostrare la sua superiorità intellettuale e il suo fascino di rubacuori, portò i prismi in Veneto.
Letture consigliate:
- "Aspetti della società e della cultura di Treviso nel Settecento e nell'Ottocento", a cura di Valeria Favretto.
- "Cultura e scienza nella Marca del Settecento: la Schola Riccatiana" di Giorgio T. Bagni.
Newton was a great Scientist!
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