Se negli anni del liceo un indovino mi avesse detto "Fra venticinque anni intervisterai, per il tuo blog, la tua compagna di classe Paola Zuccolotto", la mia reazione sarebbe stata un misto di incredulità e incapacità di comprendere. Già, perché negli anni Ottanta del secolo scorso nessuno poteva prevedere quale sarebbe stato, molti anni dopo, il significato della parola "blog"; e inoltre allora mi sarebbe risultato particolarmente ostico vedermi come futuro "intervistatore", per giunta di una mia ex compagna di classe. Per quale strano motivo?
Eppure, come scrisse George Byron, "È strano, ma vero; perché la verità è sempre strana, più strana dell'immaginazione". Ed eccomi qui a intervistare la mia ex compagna di classe, che, bravissima anche ai tempi del liceo, negli anni successivi è stata protagonista di una brillantissima carriera universitaria ed è attualmente Professore Associato all'Università di Brescia.
Dopo i Rudi Mathematici, famosi divulgatori matematici, ho pensato di intervistare lei, in quanto docente e ricercatrice nell'ambito della matematica (anzi, della statistica per essere precisi) e anche molto sensibile alle tematiche della comunicazione della scienza.
La ringrazio per avere accettato di regalare il suo prezioso tempo per un'occasione così giocosa come il mio blog (il post è corredato di una serie di immagini tratte da lavori di Paola, oltre che di alcune sue foto).
Paola, qual è stato finora il tuo percorso accademico e quali sono i tuoi principali argomenti di ricerca?
Prima
di parlare di me, desidero fare i complimenti a Mr. Palomar per come
riesce a essere sempre interessante, rigoroso e divertente al tempo
stesso, un trinomio così difficile da realizzare… e ovviamente
ringraziarti di aver pensato a me per questa intervista.
Il mio
percorso accademico è stato piuttosto lineare: ho conseguito il
Dottorato di Ricerca in Statistica Metodologica nel 1999, poco dopo ho
vinto un concorso come Ricercatore di Statistica presso l’Università di
Brescia e dal 2005 sono Professore Associato.
Mi occupo di tecniche statistiche per dati multivariati, vale a dire analisi di dataset in cui sono presenti molte (talvolta moltissime, come accade con i cosiddetti big data) variabili, alla ricerca di relazioni, associazioni, legami strutturali di vario tipo. Le finalità di queste analisi sono svariate; principalmente l’obiettivo è di comprendere meglio il funzionamento dei fenomeni studiati e/o di effettuare previsioni. Anche gli ambiti di applicazione possono essere i più diversi: economia, finanza, marketing, sport, medicina, genetica...
Dal punto di vista della statistica, le tecniche sono molteplici: si va da quelle più classiche, diciamo “tradizionali”, a metodi nuovi e più sofisticati, chiamati “algoritmici”, che hanno visto uno sviluppo rapidissimo nell’ultimo decennio grazie alla crescente capacità degli elaboratori elettronici. Tra le tecniche algoritmiche, a cui spesso ci si riferisce con il termine generico di machine learning, troviamo metodologie innovative dai nomi attraenti come le reti neurali artificiali, le cosiddette Random Forest… e l’elenco si allunga ogni giorno. Insomma, usando un termine tecnico, si può dire che sono un data miner, letteralmente un minatore che scava tra i dati alla ricerca della preziosa informazione che essi contengono.
Se da una parte la matematica in senso lato, almeno in Italia, pare abbastanza snobbata dai mezzi di comunicazione, forse perché ritenuta poco accattivante per il grande pubblico, la statistica mi sembra invece molto presente nell’informazione quotidiana: penso ai sondaggi politici, alle tabelle e ai grafici finanziari sui giornali, e così via. L’economista americano Hal Varian ha affermato che quella dello statistico sarà la professione più “sexy” dei prossimi anni. Come si spiega tutto questo?
Quando qualcuno, incuriosito dai miei studi, mi chiede cosa sia la statistica, spesso taglio corto dicendo che è una cugina della matematica, giusto per far capire che si tratta di numeri, calcoli e formule (a quel punto la risposta di solito è “Ah”, e si cambia discorso). Senza pretendere di definire l’albero genealogico di queste due discipline, questione che sicuramente risulterebbe molto più controversa di quanto esiga la banalità della diatriba, credo che, dal punto di vista dell’attrazione esercitata sul pubblico, il grande vantaggio della statistica sulla matematica sia che la prima tiene sempre un piede nella teoria e un altro nell’applicazione delle tecniche alla realtà. La parte di studio teorico differisce poco o nulla dalla ricerca di tipo matematico: gli strumenti sono gli stessi.
La differenza è che in statistica sono quasi assenti studi puramente astratti e l’orientamento più frequente è a proporre metodi e dimostrare proprietà che abbiano un risvolto pratico, cioè che aiutino a comprendere meglio un fenomeno, a migliorare le previsioni, e così via. La quasi totalità degli articoli scientifici di statistica contiene una sezione in cui le metodologie presentate da un punto di vista teorico sono poi applicate a dati reali, per mostrare su un caso pratico il valore aggiunto del metodo proposto. Penso sia questo che ha procurato alla statistica maggiore popolarità rispetto alla matematica, e sicuramente le analisi statistiche possono essere di grande aiuto in tutti i settori i cui vengono applicate, perché uniscono il rigore della matematica alla fruibilità dell’orientamento alla pratica.
Per questo Hal Varian ha definito lo statistico il mestiere sexy dei prossimi anni. Una massima spesso citata in azienda è “you can’t manage what you don’t measure”, e l’era digitale in cui viviamo mette a disposizione quantità di dati sempre crescenti con cui misurare, valutare, creare strumenti decisionali. Ecco perché le aziende dovrebbero, secondo Hal Varian, dotarsi di persone con questo tipo di competenze, cioè statistici, ma non solo. In realtà credo che avesse in mente di usare questo termine nella sua accezione più ampia di data scientist, una figura professionale che unisce statistica, informatica, conoscenza delle problematiche manageriali.
D'altra parte, questa popolarità della statistica nasconde anche qualche rischio. Infatti, complice la crescente disponibilità di software statistici user friendly, si sta diffondendo la tendenza a scavalcare la fase della teoria, difficile e noiosa, per approdare direttamente all’applicazione. E così molti si improvvisano statistici senza aver affrontato la base matematica che sottende, con un rigore troppo spesso dimenticato (o addirittura mai conosciuto), tutte le tecniche statistiche, dalla prima all’ultima. In questo modo si generano mostri e il rischio di commettere errori gravi è altissimo. É come se si volesse scrivere un romanzo in cinese senza averlo mai studiato, avvalendosi del traduttore di Google.
Addirittura si dice che alcuni dei crack finanziari che hanno tristemente condizionato l’economia mondiale di questi ultimi anni siano stati causati dall’applicazione sconsiderata di tecniche statistiche, senza dare adeguato peso alle ipotesi che, da un punto di vista matematico, ne sottendevano la validità.
Secondo te come è percepito oggi, dal mondo dei ricercatori e dei docenti universitari, il tema della comunicazione della scienza presso il grande pubblico?
Dare una risposta generale è quasi impossibile, perché il mondo dei ricercatori e dei docenti universitari è estremamente vario. Persino all’interno dello stesso settore scientifico, coesistono visioni, atteggiamenti e modi di pensare profondamente diversi. Mi limiterò pertanto a esprimere la mia opinione, senza la pretesa di rappresentare l’intero mondo accademico.
La mia impressione è che ci sia una certa distanza tra universitari e grande pubblico. In Italia il termine “accademico” è sinonimo di “inutilmente complicato”, “retorico”, addirittura “inconcludente”. Inoltre, per molti l’immagine di un professore universitario è quella di una persona piuttosto superba e altera. Insomma, unendo complicazione e alterigia, bisogna dire che fare una bella chiacchierata con un accademico non rientra nella classifica delle idee più allettanti per il grande pubblico.
Le ragioni di questo tipo di visione vanno ricercate da più parti. Da un lato, sicuramente una gran parte degli accademici non sente la necessità né la voglia di dedicarsi ad attività divulgative. Un po’ perché nel mondo accademico tutto quello che non si traduce in pubblicazione su qualche prestigiosa rivista internazionale vale praticamente zero, un po’ perché comunque non è facile tradurre argomenti difficili in parole semplici.
Non è assolutamente detto che un bravo ricercatore sia anche un bravo comunicatore. Anzi, se il grado di approfondimento con cui ci si dedica allo studio di una materia diviene molto elevato, si accumula una distanza dal pubblico che si può colmare solo se si possiede una grande capacità di comunicazione e una forte determinazione in questo senso. E queste sono doti indipendenti dalla capacità di ricerca scientifica. Ho parlato di distanza dal pubblico, ma ci credi che ai convegni scientifici a volte non ci capiamo nemmeno tra di noi?!?!
Non ho problemi ad ammettere che se ascolto la presentazione di un collega che lavora su argomenti, magari molto di nicchia, di cui non mi sono mai occupata, è difficile che riesca a seguirlo oltre i primi minuti… Io, per esempio, amo tradurre in parole semplici il mio lavoro anche in queste occasioni, proprio per consentire a tutti di seguire il mio discorso fino alla fine. Certo, questo significa rinunciare ai dettagli (a cui ogni buon ricercatore tiene tanto), e anche a dare di sé l’impressione di “uno che fa cose complicatissime”… ma si guadagna una platea attenta e partecipe.
Devo dire, però, che in questo atteggiamento rimango una mosca bianca… sembra una contraddizione, ma parlare in modo difficile è comunque la via più facile e sicura… Tornando alla divulgazione presso il grande pubblico, per la matematica c’è un’aggravante: è veramente arduo sfondare la barriera che molti, dopo averla subita per anni ai tempi della scuola, hanno sollevato di fronte a questa disciplina. Quando dico che svolgo attività di ricerca su una materia che ha molte affinità con la matematica leggo immediatamente quello sguardo misto di ammirazione e disgusto… Alla domanda “di cosa ti occupi?”, rispondere “astronomia” procura di certo più di successo che rispondere “matematica”… In pratica se un matematico ha voglia di appassionare qualcuno, prima deve convincerlo ad ascoltare, cosa che non capita in altri ambiti.
Questo di certo non deve essere una giustificazione per non elargire sforzi nella direzione della divulgazione ma, anzi, una ragione in più per farlo: demolire il mito della matematica vista come una materia difficile e arida. Per tutte queste ragioni è molto lodevole il lavoro di divulgazione che fate tu e alcuni altri.
Troppo buona, Paola. Qual è la tua opinione in merito alla scarsa attenzione che in Italia la politica e l’informazione dedicano alla ricerca scientifica e ai temi scientifici in genere?
Credo che, semplicemente, politica e informazione abbiano altri obiettivi: rispettivamente, la demagogia e il bisogno di fare notizia a tutti i costi. Non vorrei sembrare cinica, lo dico in realtà con molta amarezza. L’idea stessa di ricerca scientifica, così come viene comunicata dalla politica e dai media, è completamente distorta. Tanto per cominciare, si considera degna di attenzione solo quella ricerca che comporta vantaggi sociali/economici immediati, con buona pace della ricerca di base. In pratica, è come se si dicesse: “ragazzi, basta inventare nuove tecnologie, quelle che abbiamo sono più che sufficienti, ora dobbiamo dedicarci solo a utilizzarle al meglio”.
Certo, sfruttare l’esistente è fondamentale, anche per non vanificare gli sforzi passati, ma smettere di progredire è poco lungimirante e, in definitiva, assolutamente sbagliato in un’ottica di lungo periodo. Però è difficile far capire alle masse che dimostrare oggi un astratto teorema matematico potrebbe portare domani a scoprire un nuovo modo di sfruttare le energie alternative, e così finanziare chi dimostra teoremi non appare alla politica così prioritario, specialmente in periodi come quello che stiamo attraversando. Siccome il consenso del pubblico è la prima preoccupazione, la scienza può attendere. Per ora va anche tutto bene, ma il terreno che perdiamo in questo modo rispetto agli altri paesi europei e del mondo si noterà un domani. E non parliamo della feroce campagna di mistificazione, per lo più demagogica, con la quale in questi ultimi anni l’università italiana è stata dipinta come il regno dei baroni, dei favoritismi, dei corsi di laurea bizzarri quanto inutili. Non dico che queste tristi realtà non esistano, ma sono certamente molto più circoscritte di quanto sia stato propagandato.
La realtà è che l’università è fatta da tante persone con una grandissima passione per la ricerca. Ciononostante, che la ricerca scientifica italiana venga svolta per la maggior parte nell’ambito delle università (e con risultati eccellenti, a livello mondiale) non è poi così noto tra il pubblico. Insomma, voglio dire che, purtroppo, non si tratta solo di scarsa attenzione alla ricerca scientifica, molto più grave è l’immagine distorta con cui essa viene dipinta. I tagli ai finanziamenti, poi, arrivano (a volte addirittura applauditi) di conseguenza…
I mezzi di informazione, dal canto loro, pubblicano quello che la gente legge più volentieri e nell’epoca del Grande Fratello e della TV-spazzatura, anziché costruire un’alternativa, seguono l’onda. Mai fare di tutta l’erba un fascio, ovviamente, ci sono prestigiose eccezioni, ma la direzione di fondo è chiara. Le tematiche scientifiche, e quelle matematiche in particolare, sono spesso divulgate dai mezzi d’informazione in modo improprio, peccando di sensazionalismo, superficialità, imprecisione.
Come potrebbero collaborare Università e comunicatori scientifici (giornalisti, blogger, ecc.), per migliorare la situazione?
Un cambiamento di direzione si può avere solo diffondendo cultura. Parlo di cultura in senso generale, a tutti i livelli, non solo scientifica. Tutti, ma proprio tutti, dovrebbero impegnarsi in questa direzione, partendo dalla televisione che propone programmi che sono un oltraggio all’intelligenza umana, passando ai giornali, che molto spesso puntano diritti all’obiettivo di fare notizia, senza curarsi troppo di essere anche precisi. E non parliamo del modo in cui l’informazione circola, incontrollata, nei Social Network: quante volte abbiamo visto girare, condivise da migliaia di persone, bufale colossali? Bufale che si sarebbero potute smascherare con un click su Google. Fa parte di uno stile: la notizia è clamorosa, quindi voglio essere il primo a diffonderla, senza preoccuparmi di verificarne la veridicità.
È questo atteggiamento che la cultura può e deve cambiare, la cultura intesa come voglia di conoscere i particolari e di andare oltre le apparenze, amore per la precisione, disponibilità a mettere in discussione le proprie idee grazie alle conoscenze acquisite. L’apprezzamento per la scienza, poi verrà di conseguenza, ma è inutile pensare di seminarlo in un terreno dove non può attecchire. Della diffusione della cultura siamo responsabili tutti, a tutti i livelli, ognuno di noi si deve sentire inchiodato alla propria responsabilità nei confronti delle generazioni future.
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