venerdì 4 luglio 2014

La matematica di Messiaen

Uno dei più grandi compositori del Novecento è stato il francese Olivier Messiaen. 
Nato ad Avignone nel 1908, entrò al conservatorio di Parigi all'età di undici anni, ed ebbe insegnanti come Paul Dukas (il celebre autore del poema sinfonico L'apprendista stregone), Marcel Dupré e Charles-Marie Widor.
Lo stile compositivo di Messiaen era estremamente interessante.
Interessato alle tradizioni musicali orientali, in particolare a quella indiana, a quella giapponese e, seguendo le orme di Claude Debussy, al gamelan indonesiano, fu anche un attento studioso della musica dell'antica Grecia.  Fu un entusiasta sperimentatore delle "onde Martenot", uno dei primi strumenti elettronici della storia, presentato al pubblico nel 1928.
Più che un compositore amava considerarsi un ornitologo, ed era fermamente convinto che gli uccelli fossero i più grandi musicisti della Terra. Nel corso dei suoi molti viaggi in giro per il mondo, registrò il canto di molte specie di volatili, e ne realizzò trascrizioni, come per esempio quelle del suo Catalogue d'oiseaux per pianoforte, completato del 1958.
Era in grado di sperimentare fenomeni di sinestesia, cioè percepiva spontaneamente particolari colori quando ascoltava determinati accordi musicali, e sfruttò questa sua capacità nella sua attività di compositore.
Cosa curiosa, Messiaen era profondamente cattolico, il che si riflette nel carattere sacro di molte delle sue opere.
Nel 1940, quando la Francia venne invasa dai nazisti, Messiaen fu catturato e trasportato come prigionero nel campo di concentramento Stalag VIII-A, nei pressi della città di Görlitz. Pur nella sventura, due circostanze furono favorevoli al compositore francese: il responsabile del campo era appassionato di musica, e, cosa ancor più sorprendente, tra i propri compagni di prigionia Messiaen trovò altri tre musicisti, il violinista Jean le Boulaire, il violoncellista Etienne Pasquier e il clarinettista Henri Akoka.
Il compositore non si lasciò sfuggire l'opportunità, e d'accordo con i suoi tre compagni, compose un quartetto per pianoforte, violino, violoncello e clarinetto. Il Quatuor pour la fin du Temps (in italiano Quartetto per la fine del Tempo) fu eseguito per la prima volta il 15 gennaio 1941, davanti a quattrocento persone tra guardie e prigionieri. Messiaen stesso per l'occasione suonò il pianoforte.
Pochi mesi dopo Messiaen fu liberato, e fu nominato professore di armonia al conservatorio di Parigi. Dal 1966 al 1978, nello stesso conservatorio, fu insegnante di composizione. Molti tra i suoi allievi divennero celebri: per esempio Pierre Boulez (che prima di dedicarsi alla musica aveva intrapreso studi di matematica), George Benjamin, Iannis Xenakis, Alexander Goehr e Karlheinz Stockhausen.


Il Quatuor è oggi considerato uno dei pezzi di musica da camera più importanti di tutto il Novecento: e come gran parte dell'opera di Messiaen, contiene in sè molta matematica.
Nel sesto degli otto movimenti del brano, intitolata Danse de la fureur, pour les sept trompettes, Messiaen sperimenta l’utilizzo dei cosiddetti ritmi additivi. La tecnica è abbastanza semplice: si prende un ritmo che di per sé sarebbe regolare, e lo si scompagina aggiungendo al suo interno una breve nota, ad esempio una semicroma.
Un ritmo additivo consiste, in sostanza, nell’alternanza di celle ritmiche diverse, ad esempio binarie e ternarie, o più in generale nella sovrapposizione di ritmi diversi tra di loro, a creare ciò che Messiaen chiamava “politempo”.
Il compositore avignonese ideò questo concetto ispirandosi ai “tala”, irregolari strutture ritmiche comuni nella musica indiana, e lo ritrovò in un’opera da lui molto amata: la celebre Sagra della primavera di Igor Stravinsky.

L’utilizzo di ritmi irregolari è uno dei marchi di fabbrica più caratteristici dell’opera di Messiaen.
Lo studio della musica medievale e le suggestioni orientali ed elleniche lo avevano infatti condotto a proseguire l’opera iniziata da Claude Debussy: esplorare l’utilizzo di strutture ritmiche complesse e comporre musiche che i musicisti definiscono “ametriche”. Come a dire: abbiamo a che fare con ritmi talmente irregolari che ci sentiamo autorizzati ad affermare che di ritmo, almeno quello tradizionale al quale siamo abituati, non ce n’è proprio.
Nel 1944 l’ex prigioniero del campo di concentramento Stalag VIII-A descrisse nel trattato Technique de mon langage musical come riuscì ad affrancarsi dalla prigionia della battuta musicale classica.
Secondo Messiaen, niente in natura è veramente regolare. I rami di un albero, le onde del mare, affermò il musicista francese, non sono modellati su pattern regolari, ma su strutture complesse, imprevedibili. Così deve fare anche la musica: evitare i ritmi troppo ripetitivi e ricercare schemi più insoliti.
Non so a voi, ma a me questo fa venire in mente la geometria frattale. “Messiaen, il Mandelbrot della musica”, verrebbe da titolare.

Parlando di matematica nella ricerca ritmica di Messiaen, non possiamo tralasciare l’utilizzo di simmetrie e sistemi combinatori.
Già in un’opera giovanile come gli Huit préludes per pianoforte del 1929 il compositore francese sperimentò i cosiddetti ritmi non retrogradabili: pattern palindromi, e per questo non invertibili.
Nel lavoro orchestrale Chronochromie del 1960, Messiaen utilizzò una base di 32 durate diverse, le quali, sottoposte a un sistema di permutazioni, danno origine a diversi pattern ritmici. Ogni pattern viene assegnato, nei vari punti del pezzo, a uno strumento singolo o a più strumenti insieme, in modo da creare effetti inattesi e affascinanti complessità.
Messiaen affermò che scrivere musica su base combinatoria non doveva condurre all’estremo di una totale assenza di intervento umano nel processo compositivo. Nelle Chronochromie, ad esempio, mantenne soltanto le permutazioni che lui ritenne "interessanti”.

Da bachtrack.com
Nella sua ricerca di un ritmo il più possibile naturale, ametrico e imprevedibile, Messiaen ideò un'altra tecnica combinatoria, molto simile a quella usata nelle Chronochromie, ma basata sui numeri primi.
La procedura consiste nel sovrapporre tra loro melodie caratterizzate da lunghezze uguali a diversi numeri primi: il risultato è la creazione di ritmi imprevedibili.
Il musicista di Avignone era letteralmente ossessionato da questi numeri. Li vedeva come un simbolo dell'indivisibilità di Dio, ma era affascinato anche dal loro mistero: un mistero correlato a quello "strano fascino dell'impossibilità" che secondo lui doveva contribuire a generare l'"arcobaleno teologico", fine ultimo del linguaggio musicale.

In Les Anges, sesto movimento della Nativité du Seigneur, pezzo organistico del 1935, una delle melodie base, che riproduce un canto di uccelli, è fondata su numeri primi di crome e semicrome.
Nel 1950 Messiaen completò i Quatre études de rythme, composizioni per pianoforte. Nel terzo di questi studi, intitolato Neumes rythmiques, vengono utilizzati quattro motivi lunghi rispettivamente 41, 43, 47 e 53 semicrome: ovviamente numeri primi.

Ma l'utilizzo più celebre dei numeri non divisibili lo troviamo nel già citato Quatuor. Nel primo movimento, intitolato Liturgie de cristal, il pianoforte e il violoncello suonano ripetutamente un tema, mentre il clarinetto e il violino ne suonano un altro, che vuole rappresentare un canto di uccelli. I due temi sono formati rispettivamente da 17 e 29 note. Dato che entrambi i numeri sono primi, le due melodie torneranno a sovrapporsi nello stesso modo soltanto dopo 17 x 29 = 493 note.
Lo scopo di tutto questo è piuttosto evidente: riprodurre in musica l'idea di eternità, di sospensione del tempo.
Avrete fatto caso a questa strana connessione tra i numeri primi e il canto degli uccelli. Be', questo non deve stupire, se pensiamo alla considerazione che Messiaen aveva per i numeri primi, e al fatto che il musicista legava spesso gli uccelli alla sfera divina.
D'altra parte, anche nell'apertura di Réveil des oiseaux, pezzo del 1953 per pianoforte e orchestra, la durata di ogni strofa del canto d'uccelli è pari a un numero primo.

Molta altra matematica si cela nella musica di Messiaen. Ad esempio, in quelle particolari scale che lui stesso chiamò "modi a trasposizione limitata". Ma qui mi fermo, riservandomi eventualmente di ritornare sul tema in successivi post.

1 commento:

  1. Bellissimo post, molto interessante. Quando la matematica entra in contatto con la musica c'è sempre da stupirsi.
    Di certo non invidio gli esecutori che avranno dovuto "dimenticare" anni di studi sui ritmi regolari per poter suonare questi brani nota per nota, come in un'unica lunghissima battuta.

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