mercoledì 27 novembre 2019

Dividere per zero (parte prima)

Un giorno del mese di agosto del 1981 due ragazzi si conobbero in un negozio di elettronica sulla Kings Road, nel quartiere londinese di Chelsea, e divennero amici.
Neil Tennant aveva 27 anni: si era laureato in storia sei anni prima, alla North London University, e lavorava come redattore presso case editrici. Chris Lowe era più giovane di cinque anni: era iscritto ad architettura all’università di Liverpool ma quell’estate aveva trovato un impiego a Londra come progettista di scale.
Durante l’adolescenza Tennant aveva imparato a suonare la chitarra e il violoncello, Lowe il pianoforte e il trombone. I due scoprirono subito due grandi passioni comuni: la musica disco e i sintetizzatori. Non passò molto tempo e decisero di fondare una band, con Tennant alla voce e Lowe alle tastiere elettroniche. Il primo nome del gruppo fu West End, dal nome della vasta area di Londra situata a ovest della City e a nord del Tamigi.
Successivamente, ispirati dal negozio di animali che un loro amico gestiva nel distretto di Healing, optarono per Pet Shop Boys. Nel corso dei primi due anni di cooperazione, Tennant e Lowe sfornarono alcune delle canzoni che avrebbero costituito il loro repertorio futuro.

La svolta della loro vita professionale arrivò nel 1983. Tennant ricevette dalla rivista Smash Hits il prestigioso incarico di intervistare i Police a New York. Ma al giovane editor non importava proprio niente di incontrare Sting e compagni: il suo vero obiettivo era atterrare negli States e avvicinare il produttore musicale statunitense Bobby Orlando. Tennant riuscì nel suo intento, e seppe strappare anche la promessa di una collaborazione.
Nel 1984 Orlando produsse il singolo “West End Girls”, che ebbe un certo successo in California, ma passò inosservato altrove. I Pet Shop Boys diedero allora il benservito a Orlando e firmarono un contratto con la Parlophone. Il secondo 45 giri, “Opportunities (Let’s Make Lots of Money)” del 1985, si rivelò un altro fiasco. Ai due non mancava però la tenacia.
Nell’estate del 1985, i Pet Shop Boys ripubblicarono il brano “West End Girls” con il produttore Stephen Hague: e questa volta il successo arrivò, enorme e inaspettato. Il singolo vendette un milione e mezzo di copie e raggiunse la vetta delle classifiche negli Stati Uniti e in molti altri paesi.

La copertina dell'album Please dei Pet Shop Boys
Nel marzo dell’anno successivo uscì il primo album, intitolato Please. Si racconta che fu scelto questo titolo per far sì che i fans potessero entrare nei negozi di musica e chiedere “Can I have the Pet Shop Boys album, Please?”
Please fu il primo episodio di una lunga carriera premiata da una immensa fama planetaria. I Pet Shop Boys hanno venduto 50 milioni di dischi in tutto il mondo e sono considerati il duo musicale inglese di maggior successo della storia.
Come definire il loro stile? Lowe dichiarò di non aver mai amato particolarmente la musica rock e ne è una conferma il titolo del loro brano "How I Learned to Hate Rock and Roll" del 1996. Senza dubbio il synth pop dei Pet Shop Boys è più vicino al filone dance o disco, ma liquidare la loro produzione con queste frettolose etichette sarebbe semplicistico.
Il duo inglese riuscì a forgiare uno stile molto originale, melodico ma impreziosito da arrangiamenti complessi, ballabile ma caratterizzato da testi spesso intellettuali. La rivista musicale americana Billboard li nominò al primo posto tra i gruppi dance di ogni epoca. La produzione di Tennant e Lowe, sempre sorretta da una rara grazia, ha ricevuto apprezzamenti anche dalla critica più esigente.
Oltre a “West End Girls” e “Opportunities”, Please comprendeva  altri pezzi di grande popolarità, come “Love Comes Quickly” e “Suburbia”. La opening track dell’album, invece, è meno nota e fu scritta quando il produttore del gruppo era ancora Orlando. Un giorno Tennant acquistò, come regalo di Natale per il padre, un computer che aveva la capacità di riprodurre ad alta voce formule matematiche. Forse era un modello della Texas Instruments o forse della Sharp.
La voce della macchina, sintetica ma con una venatura malinconica, piacque subito a Neil, ma anche a Chris e a Bobby: i tre pensarono che sarebbe stato bello adoperarla per una canzone, facendo pronunciare al computer la frase “Two Divided by Zero”, ovvero “2 diviso per 0”.

Secondo quanto riportato nel booklet della riedizione 2001 di Please, fu probabilmente Lowe a proporre questa espressione matematica, stimolato dall’idea suggestiva che un numero diviso per zero fosse uguale a infinito. Pare che Neil e Bobby non fossero d’accordo con lui e avessero sostenuto che sui libri di matematica questo tipo di operazione aritmetica viene considerata illegale. Sappiamo che i tre discussero a lungo su chi avesse ragione: tra breve scopriremo anche noi la verità.
Lowe indicò anche una possibile interpretazione metaforica della stessa espressione: “two divided by zero” può essere tradotto anche come “due divisi da nulla”, ovvero “due persone che non possono essere divise da niente al mondo, perché sono una cosa sola”. Questa immagine ne richiamò un’altra: due amanti che corrono via, insieme, verso New York. Nella mente di Tennant si affacciò allora un ricordo della sua adolescenza a Newcastle: lui che di notte andava con gli amici alla stazione, per vedere i treni in partenza per Londra.
Guidato da questa visione romantica poté completare il testo della canzone. Lo stesso Tennant ha raccontato che, dopo aver registrato il pezzo con Bobby Orlando, restituì il computer al padre, ma fu costretto a riprenderselo quando la canzone dovette essere nuovamente registrata con Stephen Hague per l’album Please. Dopo di che di quella macchina si persero le tracce.
Ecco il testo di “Two Divided By Zero”:

Let's not go home, we'll catch the late train
I've got enough money to pay all the way
When the postman calls, he'll deliver the letter
I've explained everything; it's better that way
I think they heard a rumour
(Divided by, divided by) Or someone tipped them off
(Divided by, divided by) It's better to go sooner
(Divided by, divided by) Than call it all off
We'll catch a plane to New York, and a cab going down
Cross the bridges and tunnels, straight into town
Tomorrow morning we'll be miles away
On another continent and another day
Let's not go home
(Divided by, divided by) Or call it a day
(Divided by, divided by) You won't be alone
(Divided by, divided by) Let's run away
Someone spread a rumor
(Divided by, divided by zero, zero)
(Divided by, divided by) Better to go sooner
(Divided by, divided by) Let's run away
So why hang around for the deed to be done
You can give it all up for a place in the sun
When the postman calls we'll be miles away
On a plane to New York and another day
I think they heard a rumour
(Divided by, divided by) Or someone tipped them off
(Divided by, divided by) Better to go sooner
(Divided by, divided by) Than call it all off
Someone spread a rumour
(Divided by, divided by) And someone has to pay
(Divided by, divided by) Let's not go home
(Divided by, divided by) Let's run away
(Divided by, divided by) Let's not go home
(Divided by, divided by) Let's run away

Aveva ragione Chris Lowe a sostenere che due diviso per zero fa infinito? Oppure erano nel giusto i suoi due amici? La questione è vecchia quanto lo è la nozione dello zero. Il primo testo matematico che parla di questo numero e considera accettabile la divisione per zero è il Brahmasphutasiddhanta del matematico indiano Brahmagupta, vissuto nel VII secolo d.C.: ma le definizioni in esso contenute sono confuse e contraddittorie.
Due secoli dopo, un altro indiano, Mahavira, sostenne nel suo trattato Ganita-sara-sangraha che un numero rimane invariato se viene diviso per zero. Infine, uno dei più grandi matematici della storia, Bhaskara II, anche lui indiano ma vissuto nel XII secolo, propose la tesi che sette secoli dopo sarebbe stata appoggiata da Chris Lowe: dividendo un numero per zero si ottiene un numero speciale chiamato infinito. In realtà tutti e tre gli indiani sbagliavano: vediamo subito il perché.

Supponiamo che dividere un numero per zero sia un’operazione lecita, cioè che tale operazione restituisca un risultato numerico. Sotto questa ipotesi l’espressione 1:0 corrisponde a un qualche numero a, anche se non sappiamo di preciso quale. Allora possiamo scrivere:

 0∙(1:0)=0∙a

Sappiamo che moltiplicando un numero qualsiasi per zero si ottiene zero: quindi il risultato dell’espressione precedente è 0.
Adesso viene il bello: con un semplice passaggio algebrico, infatti, l’espressione 0∙(1:0) può essere riscritta come (0:0)∙1. Siccome abbiamo sdoganato la divisione per zero, anche l’espressione 0:0 è consentita e il suo risultato è 1, visto che dividendo e divisore sono uguali: quindi la nostra espressione è complessivamente uguale a 1.
Ohibò! Il risultato è 0 e allo stesso tempo 1! Com’è possibile? Nella nostra dimostrazione ci deve essere per forza un errore. L’unico passaggio logico che può essere messo in discussione è proprio quello in cui avevamo ipotizzato che avesse senso dividere un numero per zero: per dirla con Vasco Rossi, possiamo concludere che questa operazione un senso non ce l’ha (con buona pace di Brahmagupta, Mahavira, Bhaskara II e Chris Lowe).
(continua)

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