sabato 30 novembre 2019

Dividere per zero (parte seconda)

George Berkeley
L’impossibilità di assegnare un valore alla divisione per zero è divenuto un solido pilastro della matematica soltanto in tempi molto più recenti: uno dei primi riferimenti è presente nel saggio The Analyst pubblicato nel 1734 da George Berkeley.
D’altra parte, è possibile convincersi di questo anche senza ricorrere a false dimostrazioni come quella precedente. Per esempio, a scuola abbiamo imparato che 6∶3=2 perché 2∙3=6. Analogamente, se, dato un certo numero a diverso da zero, potessimo calcolare il risultato della divisione a∶0, la moltiplicazione di questo per zero dovrebbe restituirci a. Per esempio, se 4∶0 fosse un numero, moltiplicando questo numero per zero dovremmo ottenere 4. Ma lo sanno tutti che moltiplicando un numero qualsiasi per zero si ottiene irrimediabilmente zero. Quindi la divisione per zero è impossibile.
E se lo stesso a fosse uguale a zero? In questo caso il ragionamento da svolgere sarebbe un po’ diverso: il risultato della divisione 0∶0, moltiplicato per zero, dovrebbe restituire zero. Per quanto appena detto, qualsiasi numero potrebbe andare bene, cioè la divisione 0∶0 potrebbe avere un risultato qualsiasi. Ma in matematica non possiamo permetterci il lusso di avere operazioni indeterminate, in cui qualsiasi numero è un risultato accettabile. La divisione tra due numeri deve avere un unico risultato corretto, altrimenti la dobbiamo bollare come priva di significato. Così anche la divisione di zero per se stesso non è definita, è un nonsense matematico.

Non siete ancora persuasi che la divisione per zero rappresenta il crimine matematico più nefando e imperdonabile? Lasciatevi allora convincere da un esempio musicale. Immaginate che una rock band debba registrare dodici canzoni per il prossimo disco e che decida di suddividerle in gruppi, così da programmare al meglio le giornate di lavoro in studio di registrazione. Se i pezzi sono già ben rodati, può darsi che in un giorno si possano produrre tutti e dodici i brani: in tal caso basterà un’unica giornata di lavoro (12∶ 12 = 1). Se invece si decide di registrare 6 canzoni al giorno, serviranno 2 giornate (12∶ 6 = 2). Se la band volesse fare le cose in modo molto puntiglioso, potrebbe decidere di dedicare un’intera giornata a ciascun brano, impiegando così ben 12 giorni per completare il disco (12∶1 = 12). E se i musicisti, presi da un’improvvisa svogliatezza, decidessero di registrare zero brani al giorno? Naturalmente le dodici canzoni non vedrebbero mai la luce, nemmeno dopo un numero infinito di giornate, e addio sogni di gloria. In altri termini, sommando tra di loro tanti zeri otteniamo sempre zero e non possiamo mai arrivare a 12. Quindi la divisione 12∶0 non ha alcun risultato sensato.
Un ragionamento analogo potrebbe essere sviluppato fissando il numero di giornate di lavoro anziché quello di pezzi per sessione. Se la band decide di lavorare per 12 giorni, registrando un numero fisso di pezzi a giornata, dovrà dedicarsi ogni giorno a 1 solo brano (12∶ 12 = 1). Volendo concludere le sessioni dopo 6 giorni, ogni giornata sarà dedicata a 2 canzoni (12∶ 6 = 2). E così via. Se i musicisti volessero cavarsela in una sola giornata, registrerebbero tutti i pezzi in una sessione (12∶ 1 = 12). Ma se pensassero di impiegare zero giornate, saremmo autorizzati a dubitare della loro sanità mentale, perché non c’è modo di programmare le 12 registrazioni se sul calendario non ci sono date riservate a questa attività. Ancora una volta abbiamo constatato che non è possibile dividere 12 per 0.

Torniamo ai Pet Shop Boys e alla loro “Two Divided by Zero”. Come abbiamo visto, Chris Lowe era erroneamente convinto che il risultato della divisione per zero fosse una quantità infinita. Se avesse dato retta a Neil Tennant e a Bobby Orlando, che si ricordavano dell’illegalità di questa operazione aritmetica, all’interpretazione metaforica “due divisi da nulla” avrebbe potuto aggiungere un ulteriore, ingegnoso significato: è assurdo provare a dividere i due amanti protagonisti della storia, così come è impossibile tentare di dividere due per zero.
Mi piace fantasticare che la voce sintetica del computer sia stata una trovata del duo britannico per alludere all’aspetto computazionale della divisione per zero. Chiunque si sia cimentato, anche non in maniera approfondita, nell’arte della programmazione, avrà sperimentato almeno una volta la fastidiosa sensazione di vedere un proprio programma arrestarsi sbandierando il triste messaggio di errore “Division by zero”. Se avete una calcolatrice (al limite anche quella virtuale sul vostro computer), vi basta premere di seguito i tasti [2], [:] e [0] per ottenere un simile messaggio al posto di un normale risultato numerico.
La maggior parte dei processori e dei linguaggi informatici genera un errore quando un programma tenta di dividere per zero. Se ne accorsero, loro malgrado, i membri dell’equipaggio dell’incrociatore USS Yorktown il 21 settembre 1997, quando la nave della Marina americana si fermò all’improvviso durante alcune manovre di addestramento al largo di Cape Charles in Virginia.

L'incrociatore americano USS Yorktown
Che cos’era accaduto? Uno dei tecnici della nave, incaricato di risolvere un problema meccanico riscontrato in una valvola del carburante, aveva pensato di calibrare e resettare il dispositivo da remoto, attraverso un’applicazione informatica collegata al database del sistema di controllo della propulsione. Per eseguire l’intervento, digitò uno zero in uno dei campi dell’applicazione, ma questa tentò di dividere un numero per la quantità nulla inserita dal tecnico, generando uno sciagurato errore di divisione per zero. Come dicono gli informatici, l’applicazione andò in crash e innescò una malaugurata catena di errori che provocò infine il blocco totale della nave. La Yorktown era stata utilizzata con successo dal 1984, anche in operazioni di guerra, senza mai riportare incidenti, ma quel giorno rimase come morta per due ore e 45 minuti. Alla fine i tecnici riuscirono a sbloccare i motori e a ricondurre la nave nel porto di Norfolk. Proprio l’impossibilità matematica della divisione per zero aveva annichilito gli ottantamila cavalli vapore di quel colossale incrociatore.

Può darsi che l’incidente della Yorktown avesse contribuito ad attirare l’attenzione di molti sulla questione aritmetica della divisione del zero: fatto sta che nel 2003 addirittura un intero album musicale fu intitolato a questa operazione proibita. "Division by Zero" è un CD del 2003 del musicista svedese Hux Flux, al secolo Dennis Tapper, noto per le sue produzioni di psychedelic trance e prematuramente scomparso nel 2018. A Tapper la matematica doveva piacere molto, visto che i suoi brani sfoggiano titoli come "Calculus", "Logarithmic", "Finite Automata", "Numerous Numerics", "Equivalent Equations", "Numbers" (quest’ultimo contiene perfino un frammento tratto dal film Pi di Darren Aronofsky, dedicato al pi greco). Lo strano caso dell’incrociatore americano ebbe un’altra curiosa conseguenza: l’ingresso della divisione per zero nell’immaginario ironico dei nerd, nel mondo dei meme di internet e nello slang della rete. Alla fatidica operazione è infatti associato un significato metaforico che ha che fare con un’azione proibita e al tempo stesso irrimediabilmente catastrofica: un po’ come il leggendario pulsante rosso dello Studio Ovale che, una volta premuto, scatenerebbe la guerra mondiale nucleare (senza la possibilità di premere un altro pulsante di annullamento dell’operazione). In questa giocosa simbologia telematica, la divisione per zero è spesso collegata alla frase interrotta “OH SHI-“: la naturale e disperata imprecazione di chi si è accorto di aver compiuto un errore analogo a quello del tecnico della Yorktown… ma troppo tardi.

Un internet meme associato alla divisione per zero
In alcuni sistemi informatici, tuttavia, la divisione per zero non è considerata causa di errore, ma produce un risultato associato a una quantità infinita. Sia chiaro: questo non significa che la questione della divisione per zero sia controversa o soggettiva e che si possa affermare che il risultato dell’operazione sia uguale a infinito.
Insomma, Bhaskara II aveva torto e Tennant ricordava le lezioni di matematica del liceo meglio del collega Lowe. Ma la faccenda non può essere liquidata così: adesso vi devo spiegare cosa c’entra la divisione per zero con il vertiginoso concetto matematico dell’infinito.
Anche se non possiamo eseguire una divisione come 1:0, possiamo tuttavia provare a dividere 1 per numeri via via più piccoli e vedere cosa succede.

Per esempio:

1:1=1
1:0,1=10
1:0,01=100
1:0,001=1000
1:0,0001=10000
1:0,00001=100000
eccetera.

Visto? Man mano che i divisori si rimpiccioliscono, cioè si avvicinano allo zero, i risultati della divisione diventano sempre più grandi. Possiamo esprimere questo fatto affermando che, al tendere del divisore a zero, il quoziente della divisione tende a una quantità positiva e infinita. Attenzione però: questo non significa che possiamo eseguire la divisione per zero. Significa soltanto che la sequenza dei quozienti delle divisioni sopra riportate ha un valore limite: tale valore viene indicato con il simbolo +∞ (“più infinito”). Questo valore non è un numero, ma rappresenta una tendenza, un avvicinamento illimitato a valori positivi sempre più grandi.
Dobbiamo sottolineare un altro fatto. Se, anziché considerare divisori positivi sempre più piccoli e sempre più vicini a zero, avessimo preso in esame divisori negativi sempre più grandi e quindi sempre più prossimi a zero, avremmo ottenuto una sequenza di questo tipo:

1:(-1)=-1
1:(-0,1)=-10
1:(-0,01)=-100
1:(-0,001)=-1000
1:(-0,0001)=-10000
1:(-0,00001)=-100000
eccetera.

In questo caso, al tendere dei divisori a zero, i risultati della divisione diventano numeri il cui valore assoluto è sempre più grande. Tuttavia, trattandosi di numeri negativi, il loro valore limite corrisponde a una quantità infinita ma negativa, indicata con il simbolo -∞ (“meno infinito”).
Il fenomeno è ben illustrato dalla figura seguente.

Valore limite del risultato della divisione per quantità tendenti a zero

Il grafico mostra sull’asse orizzontale i valori di x e sull’asse verticale i corrispondenti quozienti 1:x. Quando x assume valori positivi, anche il quoziente è positivo (infatti il grafico è tutto nel primo quadrante, cioè quello in alto a destra): in particolare, quando ci si sposta da destra verso l’asse verticale perché si considerano valori di x sempre più prossimi a zero, il grafico si impenna verso l’alto, perché i quozienti tendono a inerpicarsi sull’inarrivabile vetta di +∞. Quando invece x è negativo, lo è anche il corrispondente quoziente (e il grafico è contenuto nel terzo quadrante, ovvero quello in basso a sinistra): quando ci si avvicina da sinistra verso l’asse verticale considerando valori di x sempre più vicini a zero, il grafico precipita in basso, per rappresentare la tendenza dei quozienti all’irraggiungibile abisso di -∞.
Una cosa è certa ed evidente anche dalla figura: il grafico non si azzarda mai a toccare l’asse verticale. Vi si avvicina indefinitamente, sia da destra che da sinistra, quando x si avvicina sempre di più a zero, ma si guarda bene dal raggiungerlo, perché x non può mai valere esattamente zero. I matematici usano il termine asintotico (dal greco asymptotos, che significa “che non si incontra”) per indicare un avvicinamento di questo tipo, eterno, costante ma mai coronato dal successo.
A me tutto questo ricorda molto la vicenda di un innamorato che, irresistibilmente attratto dalla persona amata, le si avvicina sempre più, ma per un incantesimo beffardo non riesce mai a raggiungerla: una sorta di tragedia romantica in chiave matematica. È una metafora di segno opposto rispetto a quella concepita da Tennant e Lowe in “Two Divided by Zero”: là, infatti, i due protagonisti sono uniti per l’eternità e non si divideranno mai.
In entrambi i casi a stabilire i destini ultimi dei protagonisti è la divisione per zero, anzi la sua impossibilità. Non osate scherzare con questo fuoco, cari lettori. Non arrischiatevi a scavalcare le recinzioni innalzate dall’assurdità di questa operazione, non sognatevi mai di scrivere uno zero sotto una linea di frazione: non vorrete mica causare un’avaria a qualche incrociatore americano, o provocare un disastro apocalittico come quelli evocati dai nerd della rete, vero?

mercoledì 27 novembre 2019

Dividere per zero (parte prima)

Un giorno del mese di agosto del 1981 due ragazzi si conobbero in un negozio di elettronica sulla Kings Road, nel quartiere londinese di Chelsea, e divennero amici.
Neil Tennant aveva 27 anni: si era laureato in storia sei anni prima, alla North London University, e lavorava come redattore presso case editrici. Chris Lowe era più giovane di cinque anni: era iscritto ad architettura all’università di Liverpool ma quell’estate aveva trovato un impiego a Londra come progettista di scale.
Durante l’adolescenza Tennant aveva imparato a suonare la chitarra e il violoncello, Lowe il pianoforte e il trombone. I due scoprirono subito due grandi passioni comuni: la musica disco e i sintetizzatori. Non passò molto tempo e decisero di fondare una band, con Tennant alla voce e Lowe alle tastiere elettroniche. Il primo nome del gruppo fu West End, dal nome della vasta area di Londra situata a ovest della City e a nord del Tamigi.
Successivamente, ispirati dal negozio di animali che un loro amico gestiva nel distretto di Healing, optarono per Pet Shop Boys. Nel corso dei primi due anni di cooperazione, Tennant e Lowe sfornarono alcune delle canzoni che avrebbero costituito il loro repertorio futuro.

La svolta della loro vita professionale arrivò nel 1983. Tennant ricevette dalla rivista Smash Hits il prestigioso incarico di intervistare i Police a New York. Ma al giovane editor non importava proprio niente di incontrare Sting e compagni: il suo vero obiettivo era atterrare negli States e avvicinare il produttore musicale statunitense Bobby Orlando. Tennant riuscì nel suo intento, e seppe strappare anche la promessa di una collaborazione.
Nel 1984 Orlando produsse il singolo “West End Girls”, che ebbe un certo successo in California, ma passò inosservato altrove. I Pet Shop Boys diedero allora il benservito a Orlando e firmarono un contratto con la Parlophone. Il secondo 45 giri, “Opportunities (Let’s Make Lots of Money)” del 1985, si rivelò un altro fiasco. Ai due non mancava però la tenacia.
Nell’estate del 1985, i Pet Shop Boys ripubblicarono il brano “West End Girls” con il produttore Stephen Hague: e questa volta il successo arrivò, enorme e inaspettato. Il singolo vendette un milione e mezzo di copie e raggiunse la vetta delle classifiche negli Stati Uniti e in molti altri paesi.

La copertina dell'album Please dei Pet Shop Boys
Nel marzo dell’anno successivo uscì il primo album, intitolato Please. Si racconta che fu scelto questo titolo per far sì che i fans potessero entrare nei negozi di musica e chiedere “Can I have the Pet Shop Boys album, Please?”
Please fu il primo episodio di una lunga carriera premiata da una immensa fama planetaria. I Pet Shop Boys hanno venduto 50 milioni di dischi in tutto il mondo e sono considerati il duo musicale inglese di maggior successo della storia.
Come definire il loro stile? Lowe dichiarò di non aver mai amato particolarmente la musica rock e ne è una conferma il titolo del loro brano "How I Learned to Hate Rock and Roll" del 1996. Senza dubbio il synth pop dei Pet Shop Boys è più vicino al filone dance o disco, ma liquidare la loro produzione con queste frettolose etichette sarebbe semplicistico.
Il duo inglese riuscì a forgiare uno stile molto originale, melodico ma impreziosito da arrangiamenti complessi, ballabile ma caratterizzato da testi spesso intellettuali. La rivista musicale americana Billboard li nominò al primo posto tra i gruppi dance di ogni epoca. La produzione di Tennant e Lowe, sempre sorretta da una rara grazia, ha ricevuto apprezzamenti anche dalla critica più esigente.
Oltre a “West End Girls” e “Opportunities”, Please comprendeva  altri pezzi di grande popolarità, come “Love Comes Quickly” e “Suburbia”. La opening track dell’album, invece, è meno nota e fu scritta quando il produttore del gruppo era ancora Orlando. Un giorno Tennant acquistò, come regalo di Natale per il padre, un computer che aveva la capacità di riprodurre ad alta voce formule matematiche. Forse era un modello della Texas Instruments o forse della Sharp.
La voce della macchina, sintetica ma con una venatura malinconica, piacque subito a Neil, ma anche a Chris e a Bobby: i tre pensarono che sarebbe stato bello adoperarla per una canzone, facendo pronunciare al computer la frase “Two Divided by Zero”, ovvero “2 diviso per 0”.

Secondo quanto riportato nel booklet della riedizione 2001 di Please, fu probabilmente Lowe a proporre questa espressione matematica, stimolato dall’idea suggestiva che un numero diviso per zero fosse uguale a infinito. Pare che Neil e Bobby non fossero d’accordo con lui e avessero sostenuto che sui libri di matematica questo tipo di operazione aritmetica viene considerata illegale. Sappiamo che i tre discussero a lungo su chi avesse ragione: tra breve scopriremo anche noi la verità.
Lowe indicò anche una possibile interpretazione metaforica della stessa espressione: “two divided by zero” può essere tradotto anche come “due divisi da nulla”, ovvero “due persone che non possono essere divise da niente al mondo, perché sono una cosa sola”. Questa immagine ne richiamò un’altra: due amanti che corrono via, insieme, verso New York. Nella mente di Tennant si affacciò allora un ricordo della sua adolescenza a Newcastle: lui che di notte andava con gli amici alla stazione, per vedere i treni in partenza per Londra.
Guidato da questa visione romantica poté completare il testo della canzone. Lo stesso Tennant ha raccontato che, dopo aver registrato il pezzo con Bobby Orlando, restituì il computer al padre, ma fu costretto a riprenderselo quando la canzone dovette essere nuovamente registrata con Stephen Hague per l’album Please. Dopo di che di quella macchina si persero le tracce.
Ecco il testo di “Two Divided By Zero”:

Let's not go home, we'll catch the late train
I've got enough money to pay all the way
When the postman calls, he'll deliver the letter
I've explained everything; it's better that way
I think they heard a rumour
(Divided by, divided by) Or someone tipped them off
(Divided by, divided by) It's better to go sooner
(Divided by, divided by) Than call it all off
We'll catch a plane to New York, and a cab going down
Cross the bridges and tunnels, straight into town
Tomorrow morning we'll be miles away
On another continent and another day
Let's not go home
(Divided by, divided by) Or call it a day
(Divided by, divided by) You won't be alone
(Divided by, divided by) Let's run away
Someone spread a rumor
(Divided by, divided by zero, zero)
(Divided by, divided by) Better to go sooner
(Divided by, divided by) Let's run away
So why hang around for the deed to be done
You can give it all up for a place in the sun
When the postman calls we'll be miles away
On a plane to New York and another day
I think they heard a rumour
(Divided by, divided by) Or someone tipped them off
(Divided by, divided by) Better to go sooner
(Divided by, divided by) Than call it all off
Someone spread a rumour
(Divided by, divided by) And someone has to pay
(Divided by, divided by) Let's not go home
(Divided by, divided by) Let's run away
(Divided by, divided by) Let's not go home
(Divided by, divided by) Let's run away

Aveva ragione Chris Lowe a sostenere che due diviso per zero fa infinito? Oppure erano nel giusto i suoi due amici? La questione è vecchia quanto lo è la nozione dello zero. Il primo testo matematico che parla di questo numero e considera accettabile la divisione per zero è il Brahmasphutasiddhanta del matematico indiano Brahmagupta, vissuto nel VII secolo d.C.: ma le definizioni in esso contenute sono confuse e contraddittorie.
Due secoli dopo, un altro indiano, Mahavira, sostenne nel suo trattato Ganita-sara-sangraha che un numero rimane invariato se viene diviso per zero. Infine, uno dei più grandi matematici della storia, Bhaskara II, anche lui indiano ma vissuto nel XII secolo, propose la tesi che sette secoli dopo sarebbe stata appoggiata da Chris Lowe: dividendo un numero per zero si ottiene un numero speciale chiamato infinito. In realtà tutti e tre gli indiani sbagliavano: vediamo subito il perché.

Supponiamo che dividere un numero per zero sia un’operazione lecita, cioè che tale operazione restituisca un risultato numerico. Sotto questa ipotesi l’espressione 1:0 corrisponde a un qualche numero a, anche se non sappiamo di preciso quale. Allora possiamo scrivere:

 0∙(1:0)=0∙a

Sappiamo che moltiplicando un numero qualsiasi per zero si ottiene zero: quindi il risultato dell’espressione precedente è 0.
Adesso viene il bello: con un semplice passaggio algebrico, infatti, l’espressione 0∙(1:0) può essere riscritta come (0:0)∙1. Siccome abbiamo sdoganato la divisione per zero, anche l’espressione 0:0 è consentita e il suo risultato è 1, visto che dividendo e divisore sono uguali: quindi la nostra espressione è complessivamente uguale a 1.
Ohibò! Il risultato è 0 e allo stesso tempo 1! Com’è possibile? Nella nostra dimostrazione ci deve essere per forza un errore. L’unico passaggio logico che può essere messo in discussione è proprio quello in cui avevamo ipotizzato che avesse senso dividere un numero per zero: per dirla con Vasco Rossi, possiamo concludere che questa operazione un senso non ce l’ha (con buona pace di Brahmagupta, Mahavira, Bhaskara II e Chris Lowe).
(continua)

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